Corte
Costituzionale
Sentenza n. 303/2003
Giudizio
Presidente CHIEPPA
Relatore MEZZANOTTE
Udienza Pubblica del 25/03/2003
Decisione del 23/09/2003
Deposito del 01/10/2003
Pubblicazione in G. U.
Ricorsi in via principale
9/2002 11/2002 13/2002 14/2002 15/2002 68/2002 79/2002 80/2002
81/2002 83/2002 84/2002 85/2002 86/2002 87/2002 88/2002 89/2002
90/2002 91/2002
Massime:
SENTENZA N.303
ANNO 2003
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Riccardo CHIEPPA Presidente
- Gustavo ZAGREBELSKY Giudice
- Valerio ONIDA "
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale
dell'articolo 1, commi da 1 a 12 e 14, della legge 21 dicembre
2001, n. 443 (Delega al Governo in materia di infrastrutture ed
insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il
rilancio delle attività produttive); dell'art. 13, commi 1, 3,
4, 5, 6 e 11, della legge 1° agosto 2002, n. 166, (Disposizioni
in materia di infrastrutture e trasporti); degli articoli da 1 a
11, 13 e da 15 a 20 del decreto legislativo 20 agosto 2002, n.
190 (Attuazione della legge 21 dicembre 2001, n. 443, per la
realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti
produttivi strategici e di interesse nazionale); del decreto
legislativo 4 settembre 2002, n. 198 (Disposizioni volte ad
accelerare la realizzazione delle infrastrutture di
telecomunicazioni strategiche per la modernizzazione e lo
sviluppo del Paese, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge
21 dicembre 2001, n. 443) ed allegati A, B, C e D dello stesso
decreto legislativo n. 198 del 2002; promossi con ricorsi: della
Regione Marche, notificati il 22 febbraio, il 25 ottobre e il 12
novembre 2002, depositati il 28 febbraio, il 31 ottobre e il 18
novembre 2002, rispettivamente iscritti ai numeri 9, 81 e 86 del
registro ricorsi 2002; della Regione Toscana, notificati il 22
febbraio, il 1° e il 24 ottobre, e l'11 novembre 2002,
depositati il 1° marzo, il 9 e il 30 ottobre, e il 16 novembre
2002, rispettivamente iscritti ai numeri 11, 68, 79 e 85 del
registro ricorsi 2002; della Regione Umbria, notificati il 22
febbraio e l'11 novembre 2002, depositati il 4 marzo e il 19
novembre 2002, rispettivamente iscritti ai numeri 13 e 89 del
registro ricorsi 2002; della Provincia autonoma di Trento,
notificati il 22 febbraio e il 25 ottobre 2002, depositati il 4
marzo e il 5 novembre 2002, rispettivamente iscritti ai numeri 14
e 83 del registro ricorsi 2002; della Regione Emilia-Romagna,
notificati il 23 febbraio e il 12 novembre 2002, depositati il 5
marzo e il 19 novembre 2002, rispettivamente iscritti ai numeri
15 e 88 del registro ricorsi 2002; della Provincia autonoma di
Bolzano, notificato il 25 ottobre 2002, depositato il 31
successivo ed iscritto al n. 80 del registro ricorsi 2002; della
Regione Campania, notificato il 12 novembre 2002, depositato il
16 successivo ed iscritto al n. 84 del registro ricorsi 2002;
della Regione Basilicata, notificato il 12 novembre 2002,
depositato il 19 successivo ed iscritto al n. 87 del registro
ricorsi 2002; della Regione Lombardia, notificato il 12 novembre
2002, depositato il 21 successivo ed iscritto al n. 90 del
registro ricorsi 2002; e del Comune di Vercelli, notificato il 12
novembre 2002, depositato il 21 successivo ed iscritto al n. 91
del registro ricorsi 2002.
Visti gli atti di costituzione del
Presidente del Consiglio dei ministri, nonché gli atti di
intervento dell'Associazione Italia Nostra-Onlus ed altre, della
Società Wind Telecomunicazioni s.p.a., della Vodafone Omnitel
s.p.a., della Società H3G s.p.a., della T.I.M. s.p.a. - Telecom
Italia Mobile e dei Comuni di Pontecurone, Monte Porzio Catone,
Roma, Polignano a Mare, Mantova e del Coordinamento delle
associazioni consumatori (CODACONS);
udito nell'udienza pubblica del 25 marzo
2003 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte;
uditi gli avvocati Stefano Grassi per la
Regione Marche; Vito Vacchi, Lucia Bora e Fabio Lorenzoni per la
Regione Toscana; Giandomenico Falcon e Maurizio Pedetta per la
Regione Umbria; Giandomenico Falcon e Luigi Manzi per la
Provincia autonoma di Trento; Giandomenico Falcon, Luigi Manzi e
Fabio Dani per la Regione Emilia-Romagna; Roland Riz e Sergio
Panunzio per la Provincia autonoma di Bolzano; Beniamino Caravita
di Toritto e Massimo Luciani per la Regione Lombardia; Vincenzo
Cocozza per la Regione Campania; Antonino Cimellaro e Carlo
Rienzi per il Comune di Vercelli; Corrado V. Giuliano per
l'Associazione Italia Nostra-Onlus ed altre; Beniamino Caravita
di Toritto e Vittorio D. Gesmundo per la Società Wind
Telecomunicazioni s.p.a.; Marco Sica e Mario Libertini per la
Vodafone Omnitel s.p.a.; Nicolò Zanon per la Società H3G
s.p.a.; Giuseppe De Vergottini, Mario Sanino e Carlo Malinconico
per la T.I.M. s.p.a. - Telecom Italia Mobile; Antonino Cimellaro
e Carlo Rienzi per il Comune di Pontecurone; Antonino Cimellaro
per i Comuni di Monte Porzio Catone e Mantova; Sebastiano
Capotorto per il Comune di Roma; Vito Aurelio Pappalepore per il
Comune di Polignano a Mare; Carlo Rienzi per il CODACONS; e
l'avvocato dello Stato Paolo Cosentino per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. -Con distinti ricorsi, ritualmente
notificati e depositati, le Regioni Marche, Toscana, Umbria ed
Emilia-Romagna e la Provincia autonoma di Trento hanno sollevato
questione di legittimità costituzionale - in riferimento agli
articoli 117, 118 e 119 della Costituzione e, limitatamente alla
Provincia autonoma di Trento, all'articolo 10 della legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della
parte seconda della Costituzione) - dell'art. 1 della legge 21
dicembre 2001, n. 443 (Delega al Governo in materia di
infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri
interventi per il rilancio delle attività produttive), anche
detta "legge obiettivo".
In particolare, le Regioni Toscana, Umbria
ed Emilia-Romagna hanno denunciato i commi da 1 a 12 ed il comma
14 del menzionato art. 1, mentre la Regione Marche ha impugnato
soltanto i commi da 1 a 5. La Provincia autonoma di Trento ha
censurato a sua volta i commi da 1 a 4 dello stesso art. 1,
precisando di non ritenere lese le prerogative ad essa spettanti
in forza dello statuto e delle norme di attuazione, bensì
affermando di voler denunciare l'incostituzionalità della legge
n. 443 del 2001 "in quanto essa contraddice l'ulteriore
livello di autonomia, spettante alla Provincia ai sensi dell'art.
117 della Costituzione" e dell'art. 10 della legge
costituzionale n. 3 del 2001, il quale estende alle Regioni ad
autonomia differenziata le previsioni del Titolo V della Parte II
della Costituzione "per le parti in cui prevedono forme di
autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite".
2. -Quanto alle singole censure, tutte le
ricorrenti denunciano il comma 1 dell'art. 1 della legge n. 443
del 2001, il quale attribuisce al Governo il compito di
individuare le infrastrutture pubbliche e private e gli
insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse
nazionale da realizzare per la modernizzazione del Paese.
Si lamenta anzitutto la violazione dell'art.
117 Cost., adducendosi al riguardo che il predetto compito non è
ascrivibile ad alcuna delle materie di competenza legislativa
esclusiva statale.
Le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna e la
Provincia autonoma di Trento sostengono, inoltre, che, non
essendo più contemplata dall'art. 117 Cost. la materia dei
"lavori pubblici di interesse nazionale", non sarebbe
nemmeno possibile far riferimento alla dimensione nazionale
dell'interesse così da escludere la potestà legislativa
regionale, atteso che la scelta del legislatore costituzionale è
stata proprio quella di considerare detta dimensione come
rilevante in relazione al riparto solo nell'ambito di quanto
assegnato allo Stato a titolo di potestà legislativa esclusiva o
concorrente.
Le Regioni Marche e Toscana adducono poi che
l'individuazione delle grandi opere potrebbe, in parte, rientrare
in uno degli ambiti materiali individuati dall'art. 117, terzo
comma, Cost. (quali porti e aeroporti civili; grandi reti di
trasporto e di navigazione; produzione, trasporto e distribuzione
nazionale dell'energia), ma la disposizione censurata, da un
lato, prevederebbe una disciplina di dettaglio e non di principio
e dunque lesiva dell'autonomia legislativa regionale; dall'altro
escluderebbe le Regioni dal processo "codecisionale",
che dovrebbe essere garantito in base allo strumento dell'intesa
tra Stato e Regioni medesime.
Tale ultimo profilo di censura, sia pure in
subordine all'assunto per cui nella specie non sarebbe comunque
possibile far riferimento ad alcuna delle materie elencate nel
terzo comma dell'art. 117 Cost., è fatto proprio anche dalle
Regioni Umbria ed Emilia-Romagna e dalla Provincia autonoma di
Trento, secondo le quali la potestà legislativa concorrente
dello Stato e delle Regioni su tali opere, chiaramente anche di
interesse "nazionale", richiederebbe che su di esse vi
sia un coinvolgimento di entrambi i livelli di governo.
In definitiva, si ritiene che la
disposizione del comma 1 violi anche il principio di leale
collaborazione, giacché non prevede che l'individuazione delle
c.d. grandi opere sia determinata dalle Regioni, o quanto meno
dal Governo d'intesa con le Regioni interessate.
2.1. -Il comma 1 dell'art. 1 viene altresì
specificamente denunciato dalla Regione Marche per contrasto con
gli artt. 118 e 119 Cost. In difetto di una puntuale indicazione
dei presupposti che giustificano, in base a sussidiarietà,
un'allocazione a livello centrale delle funzioni relative alla
programmazione, decisione e realizzazione delle singole opere
strategiche oggetto della disciplina censurata, risulterebbe
violato il primo comma dell'art. 118 Cost.
La ricorrente rileva inoltre che la
disposizione censurata non potrebbe giustificarsi neppure come
una forma di intervento previsto dall'art. 119, quinto comma,
Cost., ossia quale attribuzione di risorse aggiuntive e di
interventi speciali in favore delle singole autonomie locali,
giacché essa si limita a prevedere una competenza generale dello
Stato sulla determinazione di programmi e interventi da
realizzarsi in futuro e rispetto ai quali dovranno definirsi e
ricercarsi le relative risorse. Così, attribuendo al Governo il
compito di reperire tutti i finanziamenti allo scopo disponibili,
la disposizione denunciata verrebbe ad incidere sull'autonomia
finanziaria delle Regioni, costituzionalmente garantita "in
relazione al reperimento delle risorse per la realizzazione delle
infrastrutture la cui decisione rientra nella competenza
regionale".
3. -Tutte le ricorrenti impugnano poi il
comma 2 dell'art. 1 della "legge obiettivo", che detta
- dalla lettera a) alla lettera o) - i principî ed i criteri
direttivi in base ai quali il Governo è chiamato ad emanare,
entro 12 mesi dall'entrata in vigore della legge, uno o più
decreti legislativi "volti a definire un quadro normativo
finalizzato alla celere realizzazione delle infrastrutture e
degli insediamenti individuati ai sensi del comma 1".
In base ad analoghe censure, che evocano il
contrasto con l'art. 117 Cost., si deduce anzitutto che la
prevista normativa, in quanto derogatoria della legge quadro sui
lavori pubblici (legge 11 febbraio 1994, n. 109), violerebbe la
potestà legislativa esclusiva delle Regioni in materia di
appalti e lavori pubblici.
Si sostiene inoltre che, pur nella ipotesi
in cui si intenda riconoscere in materia una potestà legislativa
concorrente, sarebbero egualmente violate le competenze regionali
perché il denunciato comma 2 detta principî non già alle
Regioni ma al Governo e ciò attraverso una disciplina compiuta e
di dettaglio, non cedevole rispetto ad una eventuale futura
legislazione regionale.
In particolare le Regioni Umbria ed
Emilia-Romagna, nonché la Provincia autonoma di Trento,
affermano che la disposizione del comma 2 sarebbe ben lungi dal
conformarsi al modello costituzionale, per il quale, anche in
relazione alle opere maggiori, la competenza legislativa
ripartita deve riflettersi in una gestione congiunta tra Stato e
Regioni in "tutti i momenti in cui l'amministrazione di tali
opere si scompone, secondo le regole dei principî di
sussidiarietà e di leale cooperazione".
3.1. -La sola Regione Marche assume altresì
l'esistenza della violazione degli artt. 117, quarto comma, 118 e
119 Cost., nella parte in cui il comma 2 prevede criteri
direttivi rivolti all'esercizio di competenze amministrative e al
reperimento e all'organizzazione delle risorse.
3.2. -Le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna,
nonché la Provincia autonoma di Trento sollevano inoltre
ulteriori specifiche censure avverso le lettere g) ed n), del
comma 2, lamentandone il contrasto con il "diritto
europeo".
Quanto alla lettera g), nella parte in cui
circoscrive l'obbligo per il soggetto aggiudicatore di rispettare
la normativa europea in tema di evidenza pubblica solo "nel
caso in cui l'opera sia realizzata prevalentemente con fondi
pubblici", si tratterebbe di previsione che non trova
riscontro nella direttiva 93/37 CEE, neppure nel caso del ricorso
all'istituto della concessione di lavori pubblici (art. 3, § l)
o all'affidamento ad unico soggetto contraente generale. Essendo,
infatti, pur sempre quello dell'appalto di lavori un contratto a
titolo oneroso tra un imprenditore e un'amministrazione
aggiudicatrice, la stessa partecipazione diretta al finanziamento
dell'opera o il reperimento dei mezzi finanziari occorrenti, da
parte del contraente generale [comma 2, lettera f)], non
rileverebbe ai fini dell'esenzione dal regime comunitario.
Secondo la Regione ricorrente l'interesse a
siffatta censura si radicherebbe sia nella titolarità di
competenza legislativa concorrente, sia nel fatto che
l'emanazione di disposizioni contrastanti con la normativa
europea "renderà non più semplice ma al contrario più
difficoltosa la realizzazione delle opere", cui la Regione
stessa ha interesse, per il probabile avvio di contestazioni in
sede comunitaria.
Da tale ultimo profilo muove l'ulteriore
censura che investe la lettera n), seconda frase, dello stesso
comma 2, nella parte in cui restringe, per tutti gli
"interessi patrimoniali", la tutela cautelare al
"pagamento di una provvisionale". Questa disposizione -
che preclude la sospensione del provvedimento impugnato e rende
possibile la prosecuzione della gara fino alla stipulazione del
contratto, consolidando gli effetti di eventuali atti illegittimi
compiuti nella procedura di gara - si porrebbe in contrasto con
la direttiva 89/665/CEE (c.d. direttiva ricorsi), riducendo
"le possibilità di tutela piena per i concorrenti che
lamentino violazioni delle norme comunitarie in materia di
appalti" e ciò in quanto anticiperebbe alla fase cautelare
quella limitazione della tutela al risarcimento del danno che
l'art. 2, paragrafo 6, della citata direttiva consente nella fase
successiva alla "stipulazione di un contratto in seguito
all'aggiudicazione dell'appalto".
Una scelta, questa, che - oltre a risultare
incompatibile con l'art. 113 Cost. - potrebbe determinare
"un forte aggravio dei costi, data la necessità di pagare
due volte il profitto d'impresa (una volta a titolo di compenso,
la seconda a titolo di danno)" e tale, in ogni caso, da
rendere presumibile una reazione negativa da parte delle
autorità comunitarie e delle imprese interessate, così da
"complicare ulteriormente la vicenda delle opere
interessate".
4. -E' poi denunciato, da tutte le
ricorrenti, il comma 3, che abilita il Governo a modificare o
integrare il regolamento di attuazione della legge quadro sui
lavori pubblici n. 109 del 1994, adottato con d.P.R. 21 dicembre
1999, n. 554, ponendosi così in contrasto con l'art. 117, sesto
comma, Cost., secondo il quale lo Stato non avrebbe alcuna
potestà regolamentare nella predetta materia.
5. -Tutte le parti ricorrenti impugnano
inoltre il comma 4, che delega il Governo, limitatamente agli
anni 2002 e 2003, ad emanare, nel rispetto dei principî e dei
criteri direttivi di cui al precedente comma 2, uno o più
decreti legislativi recanti l'approvazione definitiva di
specifici progetti di infrastrutture strategiche individuate
secondo quanto previsto al comma 1.
Le censure mosse dalle ricorrenti, che si
svolgono secondo argomentazioni già sviluppate in riferimento
alla questione concernente il comma 2, evidenziano che le
cosiddette "infrastrutture strategiche" rientrano in
parte in materie di potestà legislativa concorrente, in parte in
materie di potestà legislativa regionale residuale, sicché non
sarebbe ammissibile, in riferimento a queste ultime, l'intervento
di alcun "decreto legislativo" per la diretta
approvazione definitiva dell'opera, mancando appunto la potestà
legislativa statale specifica nella materia.
6. -La sola Regione Marche censura il comma
5, sostenendo che la prevista clausola di salvaguardia in favore
delle autonomie speciali confermerebbe "la violazione, a
danno delle Regioni di diritto comune, delle competenze
costituzionalmente garantite dagli artt. 117, 118 e 119
Cost.".
7. -Le Regioni Toscana, Umbria ed
Emilia-Romagna denunciano infine i commi da 6 a 12 ed il comma 14
dell'art. 1 della legge n. 443 del 2001, che dettano una
disciplina in materia edilizia.
Nel delineare sinteticamente il contenuto
delle censurate disposizioni, le ricorrenti evidenziano,
segnatamente, che con il comma 6 si indicano alcuni interventi
edilizi per i quali l'interessato può scegliere la realizzazione
"in base a semplice denuncia di inizio di attività" in
alternativa a concessione o autorizzazione edilizia; ad esso si
ricollega il comma 12, il quale stabilisce che "le
disposizioni di cui al comma 6 si applicano nelle Regioni a
statuto ordinario a decorrere dal novantesimo giorno dalla data
di entrata in vigore della presente legge", e che le stesse
Regioni "con legge, possono individuare quali degli
interventi indicati al comma 6 sono assoggettati a concessione
edilizia o ad autorizzazione edilizia".
Le censure, di analogo tenore, prospettano
la violazione dell'art. 117 Cost., sostenendosi, in linea
principale, che l'edilizia rientra nelle materie a potestà
legislativa residuale delle Regioni e dunque non potrebbe essere
oggetto di disciplina statale.
In ogni caso, secondo le ricorrenti, ove si
intendesse ricondurre la materia dell'edilizia a quella del
governo del territorio e, quindi, a materia di legislazione
concorrente, sarebbe egualmente violato l'art. 117 Cost., in
quanto le disposizioni denunciate pongono una disciplina
analitica e dettagliata, non limitandosi dunque a dettare i
principî fondamentali.
In particolare, poi, avverso il comma 12 la
Regione Toscana deduce che la norma, rendendo applicabile alle
Regioni quanto disposto dal comma 6, vanificherebbe le leggi
regionali che hanno disciplinato procedure e titoli abilitativi
per l'attività edilizia.
Le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna
precisano altresì che, seppure il denunciato comma 12 ritarda di
novanta giorni l'applicazione del comma 6 e consente alle leggi
regionali di individuare quali degli interventi indicati dal
medesimo comma continuino ad essere assoggettati a concessione
edilizia o ad autorizzazione edilizia, tuttavia, da un lato,
permarrebbe il carattere operativo e non di principio della
disciplina statale; dall'altro, al legislatore regionale sarebbe
lasciata soltanto la scelta "di fissare se per un certo
intervento è necessario o meno il previo provvedimento, mentre i
commi 8, 9 e 10, che pure contengono mere norme procedurali e di
dettaglio, appaiono intangibili da parte del legislatore
regionale".
Sempre le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna
svolgono ulteriori considerazioni sull'incostituzionalità del
comma 14, il quale delega il Governo a modificare il testo unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia
edilizia, di cui all'art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50, per
adeguarlo alle modifiche disposte dalla legge n. 443.
Ad avviso delle ricorrenti, sarebbe il
concetto stesso di testo unico a violare il riparto
costituzionale delle competenze e ciò non soltanto per le
materie "residuali regionali", nelle quali non è
prevista, in linea di principio, alcuna interferenza della
normativa statale, ma anche per le materie di competenza
concorrente; per queste ultime la diretta disciplina operativa
dovrebbe essere essenzialmente regionale, con il vincolo di
conformazione ai principî della legislazione statale. Non
sarebbe, pertanto, possibile emanare un "testo unico"
delle disposizioni relative ad una materia concorrente, giacché
un simile testo conterrebbe norme statali per le quali sarebbe
naturale la impossibilità di applicazione in ambito regionale
"se non attraverso il vincolo che i principî esercitano
sulla legislazione regionale, per definizione esclusa dal testo
unico".
Risulterebbe, poi, paradossale - sostengono
ancora le ricorrenti - la concezione di un testo unico (come nel
caso dell'edilizia) delle disposizioni statali legislative e
regolamentari, atteso che già nel precedente assetto
costituzionale non poteva aversi, nelle materie di competenza
legislativa regionale, una normativa statale regolamentare.
8. -Con memorie di identico contenuto, si è
costituito in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, il quale ha concluso per la reiezione dei ricorsi.
Quanto alla dedotta incostituzionalità
dell'art. 1, comma 1, della legge n. 443 del 2001, per cui si
lamenta l'omessa previsione legislativa di una intesa tra Stato e
Regioni interessate, la difesa del Presidente del Consiglio
osserva, anzitutto, che la materia dei lavori pubblici non
rientra nella potestà legislativa residuale regionale e ciò in
quanto, nel testo riformato dell'art. 117 Cost., nel quale non
compare il riferimento alla materia dei lavori pubblici di
interesse regionale, si sarebbe adottato il "criterio della
strumentalità" di detta materia (già presente nel decreto
legislativo n. 112 del 1998). In tal senso, allo Stato sarebbe
attribuita la "potestà legislativa di principio" in
tema di appalti che sono riferibili a quelle materie rientranti
nella potestà legislativa concorrente (porti e aeroporti; grandi
reti di trasporto e di navigazione; distribuzione nazionale
dell'energia; protezione civile).
Peraltro, argomenta ancora l'Avvocatura
dello Stato, dovrebbe escludersi, in ogni caso, la necessità
dello strumento dell'intesa in ordine all'attività diretta
all'individuazione di un'opera pubblica, giacché essa non
richiede esercizio di potestà legislativa, trattandosi di
"esplicazione della funzione amministrativa, come tale
disciplinata dall'art. 118 Cost.". Sicché, venendo in
rilievo, nella fattispecie, l'individuazione e la realizzazione
di opere di "preminente interesse nazionale", sarebbe
"in re ipsa che, per assicurarne l'esercizio unitario,
siffatte funzioni non possano che spettare allo Stato".
Nondimeno, il fatto che la disposizione
censurata preveda, quanto all'attività di individuazione
dell'opera, la compartecipazione delle Regioni, sia in proprio,
sia come componenti della Conferenza unificata, indurrebbe ad
escludere che vi sia un vulnus alle competenze costituzionalmente
garantite alle Regioni stesse.
Altrettanto infondate sarebbero, ad avviso
della difesa erariale, le censure mosse al comma 2 dell'art. 1,
posto che l'avere la disposizione dettato principî e criteri
direttivi per la futura attività normativa di delegazione, sì
da consentire - secondo la prospettata doglianza - l'emanazione
di una disciplina di dettaglio e, quindi, invasiva delle
competenze regionali, non concreterebbe una lesione delle
prerogative costituzionali delle Regioni, bensì "una mera
eventualità" di lesione. Di dette prerogative la legge n.
443 del 2001 avrebbe, comunque, tenuto conto, prevedendo (al
comma 3) il parere della Conferenza unificata.
In riferimento, poi, alla censura che
investe il comma 3 dell'art. 1 - a supporto della quale si adduce
la carenza di potestà regolamentare in capo allo Stato -
l'Avvocatura ribadisce la natura concorrente della competenza
legislativa nel settore dei lavori pubblici, potendo così lo
Stato, "per il principio di continuità", dettare una
disciplina di dettaglio, "seppur con carattere di
cedevolezza".
Quanto, inoltre, alle doglianze mosse
avverso i commi 6 e seguenti dello stesso art. 1 - le quali fanno
leva sull'asserita violazione dell'art. 117 Cost., per essere la
materia dell'edilizia ricompresa nella sfera di competenza
legislativa esclusiva regionale e, in ogni caso, ove ricondotta
tale materia al governo del territorio, per aver le disposizioni
denunciate previsto una disciplina di dettaglio - la difesa
erariale ricorda che le norme censurate riguardano le condizioni
per il rilascio di concessioni ed autorizzazioni edilizie e i
casi in cui a siffatti provvedimenti può sostituirsi,
facoltativamente, la denuncia di inizio attività; riguardano
cioè l'attività di "uso e governo del territorio", in
quanto tale rientrante nella competenza concorrente di cui
all'art. 117, terzo comma, Cost.
Ad avviso dell'Avvocatura, dovrebbe comunque
escludersi che in tal caso sia stata adottata una normativa di
dettaglio: la previsione, "a livello di principio",
della "surrogabilità della concessione edilizia con la
denuncia di inizio attività, in presenza di particolari
condizioni obiettive", supererebbe, infatti, il principio,
contenuto in altra legge statale, per il quale era possibile il
ricorso alla denuncia di inizio attività soltanto in relazione
ad interventi edilizi minori.
9. -Le ricorrenti hanno ribadito le
rispettive ragioni con memoria illustrativa depositata in
prossimità dell'udienza pubblica fissata per il 19 novembre 2002
e poi rinviata al 25 marzo 2003.
9.1. -Nelle memorie si puntualizza, tra
l'altro, che la disciplina posta dalla legge impugnata è stata
innovata dall'art. 13 della legge 1° agosto 2002, n. 166
(Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti), che, in
particolare, ha sostituito il comma 1 dell'art. 1 (concernente le
modalità di individuazione delle infrastrutture e degli
insediamenti produttivi strategici) ed il successivo comma 2,
lettera c) (sulle procedure di approvazione dei relativi
progetti).
Tuttavia, ad avviso delle ricorrenti, le
predette norme, così come innovate, conservano i vizi di
incostituzionalità già dedotti nei vari ricorsi proposti
avverso la legge n. 443 del 2001.
In particolare, secondo le Regioni Umbria ed
Emilia-Romagna e la Provincia autonoma di Trento, le ricordate
modifiche non inciderebbero sull'interesse al ricorso, non
essendo venuto meno l'impianto fondamentale della legge n. 443
del 2001, basato sulla attrazione alla competenza statale non
solo della programmazione, ma anche dell'approvazione dei
progetti e, in buona parte, della realizzazione delle opere - sia
pubbliche che private - tramite la semplice soggettiva
qualificazione delle stesse come "strategiche" e di
"preminente interesse nazionale". Sicché, la
"norma" censurata sarebbe ancora presente nella
disposizione impugnata e quindi la questione di costituzionalità
sollevata non avrebbe affatto "perso d'attualità,
riguardando l'art. 1, comma 1, della legge n. 443 del 2001, come
modificato dalla legge n. 166 del 2002".
In ogni caso, sostengono ancora le
ricorrenti, l'originaria disposizione è già stata attuata con
la deliberazione 21 dicembre 2001 del Comitato interministeriale
per la programmazione economica (CIPE) [Legge obiettivo: I°
Programma delle infrastrutture strategiche (Delibera n.
121/2001)], "sicché l'interesse al ricorso permane anche in
relazione alla formulazione originaria della disposizione".
9.2. -La Regione Toscana, diversamente dalle
altre parti ricorrenti, ha inoltre dichiarato di non voler più
insistere nella denuncia dei commi da 6 a 12 e del comma 14,
poiché tale normativa è stata oggetto di successiva modifica da
parte dell'art. 13 della legge n. 166 del 2002, nel senso del
riconoscimento della validità delle leggi regionali emanate in
materia edilizia e della possibilità per le Regioni di ampliare
o ridurre l'ambito applicativo dei titoli abilitativi previsti
dal legislatore nazionale.
10. -Anche il Presidente del Consiglio dei
ministri ha depositato una memoria nel giudizio promosso dalla
Provincia autonoma di Trento con la quale insiste per il rigetto
del ricorso, evidenziando in particolare che le modifiche
apportate dalla legge n. 166 del 2002 alla legge impugnata
sarebbero tali da determinare la carenza di interesse a ricorrere
in relazione a tutte le censure imperniate sul difetto di una
previa intesa Stato-Regioni.
11. -In prossimità dell'udienza pubblica
del 25 marzo 2003 hanno depositato ulteriori memorie illustrative
le Regioni Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna nonché la Provincia
autonoma di Trento.
11.1. -Nel ribadire le argomentazioni svolte
nei precedenti scritti la Regione Toscana ritiene altresì che le
disposizioni denunciate non potrebbero trovare giustificazione
neppure in base all'art. 120 Cost. Mancherebbe infatti la legge
che disciplina le procedure atte a garantire l'esercizio del
potere sostitutivo nel rispetto del principio di sussidiarietà
e, in ogni caso, tale esercizio non potrebbe mai essere
consentito in base a previsioni astratte di interventi a fronte
di motivati dissensi espressi dalle Regioni nelle materie di
propria competenza. Giammai potrebbe poi ritenersi che il
dissenso della Regione sul progetto preliminare e definitivo di
un'opera pubblica rappresenti fattispecie legittimante
l'attivazione del potere sostitutivo, e ciò in quanto la Regione
non sarebbe inadempiente ma esprimerebbe il proprio dissenso
motivato ed offrirebbe soluzioni alternative così da rendere
necessaria, alla luce del principio di leale collaborazione, una
soluzione condivisa che tenga conto delle molteplici competenze
regionali incise dalla localizzazione di un'opera.
Nella memoria si contesta poi che le norme
censurate possano giustificarsi in base all'art. 118, primo
comma, Cost., giacché l'individuazione e la realizzazione di
un'opera pubblica richiedono comunque l'esercizio di potestà
legislativa e questa deve essere esercitata nel rispetto del
riparto delle competenze stabilite nella Costituzione. Sicché,
nelle materie di competenza regionale (concorrente e residuale)
spetterebbe alle Regioni medesime disciplinare, nell'esercizio
della propria potestà amministrativa, il procedimento in
questione, attribuendo agli enti locali le relative funzioni nel
rispetto dei criteri di sussidiarietà, adeguatezza e
differenziazione di cui all'art. 118 Cost.
Da ultimo si insiste nella rinuncia
all'impugnazione, per sopravvenuto difetto di interesse, dei
commi da 6 a 12 e 14 dell'art. 1 della legge n. 443 del 2001,
atteso che le modiche apportate dalla successiva legge n. 166 del
2002 permettono alla Regione di esercitare le proprie competenze
legislative in materia edilizia.
11.2. -Le Regioni Umbria, Emilia-Romagna e
Provincia autonoma di Trento, con memorie di identico contenuto,
ribadiscono le ragioni già sviluppate in precedenza, contestando
le argomentazioni sostenute dalla difesa erariale.
In particolare, si insiste nel fatto che non
sarebbe possibile fare ricorso, al fine di radicare nello Stato
la competenza legislativa a provvedere alla disciplina delle
cosiddette grandi opere, al criterio della strumentalità delle
materie coinvolte, né tanto meno ai principî di sussidiarietà
ed adeguatezza, che attengono all'allocazione delle funzioni
amministrative.
Si esclude inoltre che, al medesimo scopo,
possa invocarsi l'interesse nazionale, giacché, come tale, esso
rappresenterebbe un criterio generico che, nel contesto della
riforma del Titolo V, non potrebbe più operare al fine del
riparto delle materie, al quale provvede accuratamente l'art. 117
Cost. in base ad una specifica elencazione: l'interesse nazionale
non costituirebbe dunque titolo autonomo di competenza statale,
né giustificherebbe una disciplina che rimetta alla
discrezionalità del Governo la sua definizione.
Da ultimo si riafferma la sussistenza di un
interesse ad una pronuncia nel merito sulla censura che lamenta
l'assenza dell'intesa Stato-Regioni e ciò nonostante la modifica
introdotta in tal senso dalla legge n. 166 del 2002 al denunciato
comma 1 dell'art. 1 della legge n. 443 del 2001, giacché la
disposizione originaria aveva già trovato attuazione con la
predisposizione del primo programma di infrastrutture
strategiche.
12. -Con ricorso iscritto al reg. ric. n. 68
del 2002, ritualmente notificato e depositato, la Regione Toscana
ha sollevato questione di legittimità costituzionale
dell'articolo 13, commi 1, 3, 4, 5, 6 e 11, della legge 1°
agosto 2002, n. 166 (Disposizioni in materia di infrastrutture e
trasporti), denunciandone il contrasto con gli artt. 117, 118 e
119 Cost.
La Regione osserva preliminarmente che la
disposizione impugnata ha modificato l'art. 1 della legge 21
dicembre 2001, n. 443, concernente le modalità di individuazione
delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici,
e che proprio quest'ultima disposizione è stata da essa in
precedenza denunciata con ricorso iscritto al n. 11 del reg. ric.
dell'anno 2002. Ad avviso della Regione le modifiche apportate
dall'art. 13 al menzionato art. 1 non sarebbero tali da elidere i
dubbi di incostituzionalità già prospettati, tanto più che lo
stesso art. 13 risulterebbe illegittimo e lesivo dell'autonomia
regionale costituzionalmente garantita.
12.1. -Secondo la ricorrente le disposizioni
censurate avrebbero potuto trovare fondamento nella materia
"lavori pubblici di interesse nazionale", ma la stessa
non è prevista tra quelle elencate dal nuovo art. 117 Cost., che
ha eliminato ogni riferimento alla dimensione nazionale
dell'interesse, affidando al contrario alla competenza
legislativa concorrente materie (quali: porti e aeroporti civili;
grandi reti di trasporto e di navigazione; produzione, trasporto
e distribuzione nazionale dell'energia) in cui la predetta
dimensione è implicita nel loro stesso contenuto.
Dovrebbe inoltre escludersi, ad avviso della
Regione, che le stesse disposizioni possano fondarsi sul terzo
comma dell'art. 117 Cost., giacché le c.d. grandi opere non sono
necessariamente collegate a materie ivi elencate, come nel caso,
ad esempio, della realizzazione degli insediamenti produttivi che
si riconnette alla materia dell'industria, di competenza
residuale regionale ai sensi del quarto comma dell'art. 117 Cost.
Analogamente è da dirsi per la disciplina dei lavori pubblici e
privati, trattandosi di materia riservata alla legislazione
regionale, con l'unico limite del rispetto della Costituzione e
dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario.
In ogni caso, ove si volesse ammettere una
competenza statale relativamente ad opere strategiche collegate a
materie elencate nel terzo comma dell'art. 117 Cost., la stessa
non potrebbe che esercitarsi attraverso l'individuazione dei
principî regolatori, mentre la normativa denunciata non si
limita a dettare principî alle Regioni in tema di individuazione
e realizzazione delle c.d. grandi opere, ma al contrario
definisce i criteri ai quali il Governo dovrà attenersi
nell'esercizio della delega con una disciplina compiuta,
dettagliata e minuziosa, tale da elidere ogni possibilità di
intervento normativo da parte delle Regioni medesime.
Argomenta ancora la ricorrente che una tale
illegittima appropriazione da parte dello Stato di potestà
legislative regionali non potrebbe giustificarsi in nome
dell'interesse nazionale, che il nuovo Titolo V non contempla
più come limite alla potestà legislativa delle Regioni, così
come non prevede un generale potere di indirizzo e coordinamento.
Non sarebbe dunque ammissibile reintrodurre limiti alla potestà
legislativa regionale non espressamente previsti in Costituzione
riferendosi alla rilevanza nazionale di un'opera.
12.2. -Ad avviso della Regione le
disposizioni impugnate violerebbero anche l'art. 118 Cost. A tale
riguardo si osserva che, per un verso, l'effettivo rispetto dei
criteri di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza
imporrebbe che ogni scelta legislativa di allocazione delle
funzioni debba essere supportata dall'analisi e dalla verifica
dei livelli di governo maggiormente rispondenti a detti criteri e
che, dunque, debbano essere resi conoscibili i motivi della
scelta e quindi dell'esercizio in concreto di tale potere
discrezionale: il che non avviene nel caso in esame. Per altro
verso, le esigenze di esercizio unitario richiamate dall'art. 118
Cost. non potrebbero costituire un titolo autonomo legittimante
l'intervento del legislatore statale, come invece accade in base
alle denunciate disposizioni. Ciò perché l'art. 118, primo
comma, Cost. è norma che fissa i criteri per l'allocazione delle
funzioni, ma non disciplina le fonti deputate ad allocare le
stesse e quindi non rappresenta il presupposto su cui fondare
variazioni e spostamenti rispetto alla titolarità della potestà
legislativa, come stabilita dall'art. 117.
12.3. -Il fatto poi che il comma 3 del
censurato art. 13 abbia introdotto il principio per cui
l'individuazione delle grandi opere avviene d'intesa con le
Regioni interessate e con la Conferenza unificata, anziché sulla
base del loro parere (come originariamente previsto), non
costituirebbe, secondo la ricorrente, una modifica tale da far
superare gli evidenziati dubbi di incostituzionalità, in quanto,
da un lato, l'intesa non può rappresentare un meccanismo tramite
il quale lo Stato si appropria di potestà legislative ad esso
non riservate e, dall'altro, non è contemplato alcun meccanismo
a garanzia che l'intesa non sia di fatto recessiva rispetto al
potere dello Stato di provvedere ugualmente a fronte del motivato
dissenso regionale. In definitiva l'intesa non garantirebbe una
reale forma di coordinamento paritario, con ciò ledendo il
principio di leale cooperazione che imporrebbe, nella materia in
esame, una effettiva codeterminazione del contenuto dell'atto di
individuazione delle grandi opere.
12.4. -La Regione sostiene altresì che
neppure i commi 5 e 6 del denunciato art. 13, che dettano i
criteri ai quali deve attenersi il Governo nell'emanare il
decreto legislativo volto a disciplinare le modalità di
approvazione dei progetti preliminari e definitivi delle opere
strategiche, garantirebbero il rispetto delle attribuzioni
regionali. Ciò in quanto il ruolo della Regione
nell'approvazione dei progetti (demandata al CIPE o a decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del
CIPE integrato dai Presidenti delle Regioni, sentita la
Conferenza unificata, previo parere delle competenti commissioni
parlamentari) sarebbe soltanto quello di esprimere un parere,
mentre l'approvazione di detti progetti assume particolare
rilievo poiché determina la localizzazione urbanistica
dell'opera, la compatibilità ambientale della medesima e
sostituisce ogni permesso ed autorizzazione comunque denominati.
Ad avviso della ricorrente le disposizioni
denunciate inciderebbero quindi sulla materia, di legislazione
concorrente, del governo del territorio, dettando un regime
derogatorio per l'individuazione delle opere e per l'approvazione
dei progetti delle stesse che non lascerebbe spazio alla
legislazione regionale; interferirebbero sulla normativa
regionale già vigente che disciplina i procedimenti per
l'approvazione delle opere pubbliche, prevedendo le necessarie
verifiche di natura urbanistica, idrogeologica e di difesa del
suolo (laddove essa Regione ha attribuito tali funzioni
amministrative ai Comuni e alle Province); esautorerebbero la
Regione delle proprie attribuzioni in merito alla valutazione di
impatto ambientale delle opere. A tal specifico riguardo la
Regione Toscana rileva che il comma 3 dell'art. 13 prevede che
anche le strutture concernenti la nautica da diporto possono
essere inserite nel programma delle infrastrutture strategiche,
ciò comportando che la valutazione di impatto ambientale sulle
stesse debba effettuarsi con la procedura prevista dal successivo
comma 5 e dunque dal Ministro competente, restando così
sottratto alle Regioni, con lesione delle relative attribuzioni
in materia di porti e valorizzazione dei beni ambientali.
12.5. -La ricorrente osserva poi che le
prospettate censure non potrebbero essere superate dal fatto che
il comma 3 del denunciato art. 13 della legge n. 166 del 2002
prevede che il Governo, nell'emanare il decreto delegato,
dovrebbe agire "nel rispetto delle attribuzioni
costituzionali delle Regioni", giacché, oltre ad essere
espressione vaga e generica, si tratta di indicazione che non
potrebbe comunque essere rispettata, considerato che sono già i
principî posti dalla delega a vulnerare le attribuzioni delle
Regioni.
12.6. -La Regione assume infine che i commi
1 e 11 dell'art. 13, nel prevedere specifici stanziamenti per la
progettazione e la realizzazione delle opere strategiche
individuate dal CIPE, contrasterebbero sia con gli artt. 117 e
118 Cost., in quanto "fanno riferimento al programma
predisposto dal CIPE che [
] è elaborato in spregio alle
competenze regionali", sia con l'art. 119 Cost., incidendo
sull'autonomia finanziaria delle Regioni che la norma
costituzionale garantisce in relazione al reperimento delle
risorse per la realizzazione delle infrastrutture la cui
decisione rientra nella competenza regionale.
13. -Si è costituito in giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.
Quanto alla dedotta violazione dell'art. 117
Cost., la difesa erariale osserva che l'omessa previsione della
materia dei lavori pubblici regionali nella legge costituzionale
n. 3 del 2001 si giustificherebbe in ragione del perseguimento
del criterio, già presente nel decreto legislativo n. 112 del
1998, della strumentalità della materia dei lavori pubblici, per
cui allo Stato spetta la potestà legislativa di principio per la
disciplina degli appalti relativi alle materie ricomprese nella
potestà legislativa concorrente.
Con riferimento poi al profilo di censura
che sostiene esservi lesione delle attribuzioni regionali in
considerazione della minuziosità della normativa introdotta,
l'Avvocatura rileva che l'attività di individuazione di un'opera
pubblica non richiederebbe l'esercizio di potestà legislative,
ma solo di quelle amministrative, ai sensi dell'art. 118 Cost.
Quanto poi alla denunciata violazione
proprio dell'art. 118, primo comma, Cost. si osserva che,
allorquando è necessario assicurare l'esercizio unitario di
funzioni amministrative, come è in riferimento
all'individuazione e realizzazione di opere di "preminente
interesse nazionale", la fonte normativa di distribuzione
delle funzioni medesime non potrebbe che essere una legge
statale. Legge che, nel caso di specie, correttamente
espliciterebbe i presupposti per l'allocazione delle funzioni al
massimo livello, che sono espressamente indicati in
"finalità di riequilibrio socio-economico fra le aree del
territorio nazionale", in "fini di garanzia della
sicurezza strategica e di contenimento dei costi
dell'approvvigionamento energetico del Paese" e
nell'"adeguamento della strategia nazionale a quella
comunitaria delle infrastrutture e della gestione dei servizi
pubblici locali di difesa dell'ambiente".
La difesa erariale sostiene inoltre che
proprio le doglianze mosse avverso la mancata previsione sia di
una previa intesa per l'individuazione delle opere strategiche,
sia dell'integrazione del CIPE con la presenza dei Presidenti
delle Regioni per l'approvazione dei relativi progetti, hanno
indotto il legislatore a modificare in questo senso la legge n.
443 del 2001, tramite l'art. 13 della legge n. 166 del 2002, e
ciò per assicurare "il rispetto delle attribuzioni
costituzionali" delle Regioni.
Quanto infine alle censure riguardanti i
commi 1 e 11 del menzionato art. 13, l'Avvocatura ritiene che gli
artt. 117 e 118 Cost., in ragione delle argomentazioni già
spese, non siano violati nella procedura di individuazione e
approvazione dei progetti da parte del CIPE e che parimenti non
possa reputarsi leso l'art. 119 Cost. giacché, trattandosi di
progettazione e realizzazione di opere di preminente interesse
nazionale, è allo Stato che compete autorizzare i limiti di
impegno e la destinazione della spesa derivanti dagli
stanziamenti del proprio bilancio.
14. -In prossimità dell'udienza la Regione
Toscana ha depositato una memoria con cui, ribadendo le
argomentazioni già svolte, insiste nelle conclusioni già
rassegnate.
15. -Nello stesso giudizio hanno depositato,
fuori termine, congiunto atto di intervento ad adiuvandum
l'Associazione Italia Nostra-Onlus, Legambiente-Onlus,
l'Associazione italiana per il World Wide Fund For Nature
(WWF)-Onlus, per sentire dichiarare l'incostituzionalità
dell'art. 13, commi 1, 3, 4, 5, 6 e 11, della legge n. 166 del
2002, denunciato dalla Regione Toscana.
16. -La Regione Toscana, le Province
autonome di Bolzano e di Trento, la Regione Marche hanno proposto
questione di legittimità costituzionale in via principale di
numerosi articoli del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190,
recante "Attuazione della legge 21 dicembre 2001, n. 443,
per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti
produttivi strategici e di interesse nazionale",
denunciandone il contrasto con gli artt. 76, 117, 118 e 120
Cost., nonché con gli artt. 8, primo comma, numeri 5, 6, 9, 11,
14, 16, 17, 18, 19, 21, 22, 24; 9, primo comma, numeri 8, 9, e
10; 16 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, nel
testo approvato con d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione
del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige). Più nello specifico, la
Toscana impugna gli artt. 1-11, 13, 15, 16, commi 1, 2, 3, 6, 7;
17-20; la Provincia autonoma di Bolzano gli artt. 1, commi 1 e 7;
2, commi 1, 2, 3, 4, 5 e 7; 3, commi 4, 5, 6, 9; 13, comma 5; 15;
la Regione Marche gli artt. 1-11, 13, 15-20; la Provincia
autonoma di Trento gli artt. 1, 2, 3, 4, 13 e 15.
17. -Il ricorso della Provincia autonoma di
Trento è stato depositato presso la cancelleria della Corte
costituzionale il 5 novembre 2002, cioè il giorno successivo
alla scadenza del termine di dieci giorni previsto dall'art. 32,
terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87. Con apposita
istanza la Provincia rende noto che il mancato rispetto del
termine non può essere imputato a negligenza, ma alla
impossibilità, conseguente alla mancata disponibilità dell'atto
presso l'Ufficio notifiche, per ragioni che atterrebbero al
funzionamento di tale ufficio e che sono state espressamente
riconosciute dal medesimo con certificato allegato al ricorso
depositato. Pur non negando il carattere perentorio del termine
di cui è discorso, la Provincia istante ritiene che ciò non
dovrebbe impedire l'applicazione di ulteriori principî giuridici
come quello dell'errore scusabile, espressamente riconosciuto nel
giudizio amministrativo. Si chiede pertanto di considerare
scusabile, e dunque tempestivo, il deposito effettuato dalla
Provincia autonoma di Trento il 5 novembre 2002. In subordine,
peraltro, ove la Corte ritenesse che la mancata menzione
dell'errore scusabile negli artt. 31, terzo comma, e 32, terzo
comma, della legge n. 87 del 1953 sia dalla Corte ritenuta
preclusiva dell'applicazione di tale istituto, l'istante
eccepisce l'illegittimità costituzionale in parte qua di tali
disposizioni, per violazione dell'art. 24, primo comma, Cost. e
del principio di ragionevolezza.
18. -In tutti i ricorsi si osserva
preliminarmente come la disciplina statale non potrebbe trovare
fondamento negli specifici titoli abilitativi delle lettere e),
m) e s), dell'art. 117 Cost., in quanto la disciplina oggetto di
impugnazione non avrebbe nulla a che vedere con la tutela della
concorrenza [lettera e)], dell'ambiente e dell'ecosistema
[lettera s)] né tanto meno con la determinazione dei livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale [lettera m)].
Le ricorrenti pongono inoltre in risalto
come le Regioni sarebbero divenute titolari della competenza
legislativa concorrente in molte delle materie che attengono alla
realizzazione di opere pubbliche, quali "porti e aeroporti
civili", "grandi reti di trasporto e navigazione",
"trasporto e distribuzione nazionale dell'energia",
"governo del territorio". Solo in relazione alle opere
pubbliche relative ai predetti settori materiali lo Stato sarebbe
dunque titolare di potestà legislativa, che dovrebbe peraltro
essere esercitata attraverso la predisposizione di una normativa
di principio, non anche attraverso discipline di dettaglio che,
come nella specie, comprimano gli spazi di scelta politica delle
Regioni. La materia degli insediamenti produttivi e delle
infrastrutture strategiche, per di più, sarebbe interamente
affidata alla potestà legislativa residuale delle Regioni, così
da escludere ogni intervento normativo statale.
L'esigenza di tutelare un interesse
nazionale non potrebbe giustificare la deroga al riparto delle
competenze costituzionali che il decreto impugnato avrebbe
introdotto, in quanto l'interesse nazionale non potrebbe più
costituire il titolo per sottrarre oggetti alle materie di
competenza regionale. Egualmente, si aggiunge nel ricorso della
Regione Toscana, non varrebbe invocare l'art. 118, primo comma, e
le esigenze di esercizio unitario ivi richiamate, che non
potrebbero costituire un titolo autonomo legittimante
l'intervento del legislatore statale in materie di competenza
delle Regioni, giacché l'art. 118 non conterrebbe un riparto di
materie ulteriore e potenzialmente antagonista rispetto a quello
contenuto nell'art. 117 Cost.
Le disposizioni impugnate sarebbero
illegittime pure per contrasto con l'art. 76 Cost., giacché la
legge di delegazione espressamente prevedeva che la delega
dovesse essere esercitata «nel rispetto delle attribuzioni
costituzionali delle Regioni».
18.1. -Nello specifico, sono oggetto di
impugnazione:
a) - l'art. 1, comma 1, che regola la
progettazione, l'approvazione e realizzazione delle
infrastrutture strategiche e degli insediamenti produttivi di
preminente interesse nazionale, individuati da un apposito
programma approvato dal CIPE (art. 1 legge n. 443 del 2001). Le
opere sono differenziate in categorie. Quelle per le quali
l'interesse regionale è concorrente con il preminente interesse
nazionale sono individuate con intese quadro fra Governo e
singole Regioni e per esse è previsto che le Regioni medesime
partecipino, con le modalità stabilite nelle intese, alle
attività di progettazione, affidamento dei lavori e
monitoraggio, «in accordo alle normative vigenti ed alle
eventuali leggi regionali allo scopo emanate».
La Provincia autonoma di Bolzano ritiene che
tale disposizione sarebbe rivolta a salvaguardare unicamente le
competenze ad essa riconosciute dallo statuto speciale e dalle
norme di attuazione, senza alcun riferimento alle nuove e
maggiori competenze che le spetterebbero ai sensi degli artt. 117
e 118 Cost. Risulterebbe inoltre violato l'art. 2 del decreto
legislativo n. 266 del 1992, il quale impone il sollecito
adeguamento (sei mesi) della legislazione provinciale ai
principî della legislazione statale, tenendo ferma «l'immediata
applicabilità nel territorio regionale (
) degli atti
legislativi dello Stato nelle materie nelle quali alla Regione o
alla Provincia autonoma è attribuita delega di funzioni
statali»;
b) - l'art. 1, comma 5, il quale dispone che
le Regioni, le Province, i Comuni, le Città metropolitane
applicano, per le proprie attività contrattuali ed organizzative
relative alla realizzazione delle infrastrutture e diverse
dall'approvazione dei progetti (comma 2) e dalla aggiudicazione
delle infrastrutture (comma 3), «le norme del presente decreto
legislativo fino alla entrata in vigore di una diversa norma
regionale, (
) per tutte le materie di legislazione
concorrente». Le Regioni Toscana e Marche e la Provincia
autonoma di Trento ne denunciano il contrasto con l'art. 117
Cost., poiché in materie di competenza regionale concorrente
sarebbe posta una normativa cedevole di dettaglio, il che, dopo
la riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, non
sarebbe più consentito;
c) - l'art. 1, comma 7, lettera e), che, nel
definire opere per le quali l'interesse regionale concorre con il
preminente interesse nazionale «le infrastrutture (
) non
aventi carattere interregionale o internazionale per le quali sia
prevista, nelle intese generali quadro di cui al comma 1, una
particolare partecipazione delle Regioni o Province autonome alle
procedure attuative» e opere di carattere interregionale o
internazionale «le opere da realizzare sul territorio di più
Regioni o Stato, ovvero collegate funzionalmente ad una rete
interregionale o internazionale», sarebbe incostituzionale in
primo luogo per eccesso di delega, giacché la legge n. 443 del
2001 non avrebbe autorizzato il Governo a porre un regime
derogatorio anche per le opere di interesse regionale (ricorso
della Regione Toscana). Inoltre, si argomenta in tutti i ricorsi,
la disposizione in oggetto, nell'escludere la concorrenza
dell'interesse regionale con il preminente interesse nazionale in
relazione ad opere aventi carattere interregionale o
internazionale, sarebbe lesiva delle competenze attribuite alle
Regioni dagli artt. 117, commi terzo, quarto e sesto, e 118,
primo comma, Cost. Del pari illegittima sarebbe la subordinazione
all'intesa statale dell'individuazione delle opere per le quali
esista un concorrente interesse regionale. La medesima
disposizione contrasterebbe inoltre con gli artt. 19, 20 e 21
delle norme di attuazione dello statuto del Trentino-Alto Adige
recate dal d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381 (Norme di attuazione
dello statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige in
materia di urbanistica ed opere pubbliche), giacché escluderebbe
la necessità di un'intesa per le infrastrutture e i collegamenti
interregionali e internazionali;
d) - l'art. 2, comma 1, il quale stabilisce
che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti «promuove
le attività tecniche ed amministrative occorrenti ai fini della
sollecita progettazione ed approvazione delle infrastrutture e
degli insediamenti produttivi ed effettua, con la collaborazione
delle Regioni e delle Province autonome interessate con oneri a
proprio carico, le attività di supporto necessarie per la
vigilanza, da parte del CIPE, sulla realizzazione delle
infrastrutture». Secondo la prospettazione delle Province
autonome di Trento e di Bolzano sarebbero riservati al Ministero
delle infrastrutture e dei trasporti i compiti tecnici e
amministrativi che l'art. 16 dello statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige attribuisce alle Province autonome, con
violazione anche dell'art. 4, comma 1, del decreto legislativo n.
266 del 1992, il quale prevede che «nelle materie di competenza
propria della Regione o delle Province autonome la legge non può
attribuire agli organi statali funzioni amministrative (
)
diverse da quelle spettanti allo Stato secondo lo statuto
speciale e le norme di attuazione»;
e) - l'art. 2, commi 2, 3, 4, 5 e 7, il
quale, nel riservare al Ministero delle infrastrutture e dei
trasporti l'attività di progettazione, direzione ed esecuzione
delle infrastrutture ed il potere di assegnare le risorse
integrative necessarie alle attività progettuali, anziché
assegnare i fondi direttamente alle Province autonome di Trento e
Bolzano, violerebbe l'art. 16 dello statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige e l'art. 4, comma 3, del decreto legislativo
n. 266 del 1992, secondo cui «fermo restando quanto disposto
dallo statuto speciale e dalle relative norme di attuazione,
nelle materie di competenza propria della Provincia, le
amministrazioni statali, comprese quelle autonome, e gli enti
dipendenti dallo Stato non possono disporre spese né concedere,
direttamente o indirettamente, finanziamenti o contributi per
attività nell'ambito del territorio regionale o provinciale»;
f) l'art. 2, comma 5, il quale, nel
prevedere che per la nomina di commissari straordinari destinati
a seguire l'andamento delle opere aventi carattere interregionale
o internazionale debbano essere sentiti i Presidenti delle
Regioni interessate, si porrebbe in contrasto, ad avviso di tutte
le ricorrenti, con gli artt. 117 e 118 Cost. e con il principio
di leale collaborazione, in quanto su tale oggetto dovrebbe
essere prevista la forma più intensa di collaborazione
dell'intesa. I commi 5 e 7 sarebbero inoltre incostituzionali
anche perché attribuirebbero allo Stato compiti decisionali che
in base all'art. 4 del decreto legislativo n. 266 del 1992
sarebbero di competenza della Provincia autonoma di Bolzano;
g) - l'art. 2, comma 7, che attribuisce al
Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro
delle infrastrutture e dei trasporti, sentiti i Ministri
competenti, nonché, per le infrastrutture di competenza dei
soggetti aggiudicatari regionali, i Presidenti delle Regioni, il
potere di abilitare i commissari straordinari ad adottare, con
poteri derogatori della normativa vigente e con le modalità di
cui all'art. 13 del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67
(Disposizioni urgenti per favorire l'occupazione), i
provvedimenti e gli atti di qualsiasi natura necessari alla
sollecita progettazione, istruttoria, affidamento e realizzazione
delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi, in
sostituzione dei soggetti competenti. Le Regioni Toscana e Marche
e la Provincia autonoma di Trento lamentano la lesione degli
artt. 117 e 118 Cost., in quanto la previsione impugnata si
applica anche alle opere regionali e potrebbe pertanto riguardare
provvedimenti che spetterebbe alla Regione e alle Province
adottare nell'esercizio delle proprie competenze normative e
amministrative. Secondo la Regione Toscana difetterebbero inoltre
i presupposti ai quali l'art. 120 Cost. subordina il legittimo
esercizio dei poteri sostitutivi statali. Infine, si sostiene nel
ricorso della Provincia autonoma di Bolzano, risulterebbe violato
anche l'art. 4 del decreto legislativo n. 266 del 1992, giacché
allo Stato sarebbero stati attribuiti compiti decisionali
spettanti alla Provincia;
h) - l'art. 3, il quale disciplina la
procedura di approvazione del progetto preliminare delle
infrastrutture, le procedure di valutazione d'impatto ambientale
(VIA) e localizzazione, secondo tutte le ricorrenti sarebbe
illegittimo nella sua interezza, in quanto disciplinerebbe la
procedura di approvazione del progetto preliminare con
regolazione di minuto dettaglio, mentre, in relazione ad oggetti
ricadenti nella competenza regionale in materia di governo del
territorio, la legislazione statale avrebbe dovuto limitarsi alla
predisposizione dei principî fondamentali. Il medesimo art. 3,
nella parte in cui affida al CIPE l'approvazione del progetto
preliminare delle infrastrutture coinvolgendo le Regioni
interessate ai fini dell'intesa sulla localizzazione dell'opera,
ma prevedendo pure che il medesimo progetto non sia sottoposto a
conferenza di servizi, ad avviso della Regione Toscana violerebbe
l'art. 76 Cost., poiché l'art. 1, comma 2, lettera d), della
legge di delega n. 443 del 2001 autorizzava solo a modificare la
disciplina della conferenza dei servizi e non a sopprimerla del
tutto.
Del pari incostituzionali sarebbero, secondo
tutte le ricorrenti, i commi 6 e 9 dell'art. 3, i quali, nel
prevedere che lo Stato possa procedere comunque all'approvazione
del progetto preliminare relativo alle infrastrutture di
carattere interregionale e internazionale superando il motivato
dissenso delle Regioni, violerebbero gli artt. 114, commi primo e
secondo, 117, commi terzo, quarto e sesto, e 118, commi primo e
secondo, Cost. Le Regioni, si osserva nei ricorsi, sarebbero
infatti relegate in posizione di destinatarie passive di
provvedimenti assunti a livello statale in materie che sono
riconducibili alla potestà legislativa concorrente. Per le
ragioni appena esposte sarebbero incostituzionali anche gli artt.
4, comma 5, e 13, comma 5, che alla procedura dell'art. 3, comma
6, fanno espresso rinvio;
i) - l'art. 4, comma 5, nella parte in cui
prevede che l'approvazione del progetto definitivo sia adottata
«con il voto favorevole della maggioranza dei componenti del
CIPE», sarebbe, ad avviso della Regione Toscana,
costituzionalmente illegittimo per contrasto con l'art. 76 Cost.,
e specificamente con l'art. 1, comma 3-bis, della legge di
delega, il quale prevede quale momento indefettibile del
procedimento di approvazione del progetto definitivo il parere
obbligatorio della Conferenza unificata;
j) - le norme contenute negli artt. 4, 5, 6,
7, 8, 9, 10 e 11, che introducono rilevanti modifiche in materia
di appalti e di concessioni dei lavori pubblici, secondo le
Regioni Toscana e Marche sarebbero illegittime in quanto
incidenti su materie ascrivibili alla competenza legislativa
residuale delle Regioni, inerendo alla materia dei lavori
pubblici e degli appalti. Non varrebbe neppure, si soggiunge nel
ricorso della Regione Toscana, rilevare che in tale materia siano
recepite ed applicate norme di fonte comunitaria, giacché
l'attuazione di norme comunitarie in materia di competenza
regionale spetterebbe comunque alle Regioni;
k) - l'art. 8, nella parte in cui prevede
che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti pubblichi
la lista delle infrastrutture per le quali il soggetto
aggiudicatore ritiene di sollecitare la presentazione di proposte
da parte di promotori e, se la proposta è presentata, stabilisce
che il soggetto aggiudicatore, valutata la stessa come di
pubblico interesse, promuova la procedura di VIA e se necessario
la procedura di localizzazione urbanistica, secondo la Regione
Toscana sarebbe illegittimo, oltre che per i profili evidenziati
alla lettera j), anche per l'ulteriore ragione che non
chiarirebbe se le infrastrutture inserite nella lista per
sollecitare le proposte dei promotori siano da individuare tra
quelle già ricomprese nel programma di opere strategiche formato
d'intesa con le Regioni, ai sensi dell'art. 1, comma 1, della
legge di delega n. 443 del 2001, o se al contrario si debba
consentire la presentazione di proposte dei promotori anche per
opere non facenti parte del programma, e sulle quali nessuna
intesa è stata raggiunta con le Regioni interessate;
l) - l'art. 13, che disciplina le procedure
per la localizzazione, l'approvazione dei progetti, la VIA degli
insediamenti produttivi e delle infrastrutture private
strategiche per l'approvvigionamento energetico, richiamando gli
artt. 3 e 4, sarebbe incostituzionale, secondo la Regione Marche,
per le medesime ragioni già esposte con riguardo alle
disposizioni citate; inoltre esso, secondo la Provincia autonoma
di Trento, violerebbe l'art. 4 del decreto legislativo n. 266 del
1992, in quanto, per effetto della semplice individuazione, con
atto statale di carattere amministrativo, del preminente
interesse nazionale di alcuni insediamenti privati, spoglierebbe
la Provincia ricorrente dei poteri amministrativi ad essa
spettanti. Il medesimo art. 13, nel comma 5, sarebbe inoltre
lesivo delle competenze costituzionali della Provincia autonoma
di Bolzano per il fatto di prevedere che l'approvazione del CIPE
sostituisce le autorizzazioni, concessioni edilizie e
approvazioni in materia di urbanistica e opere pubbliche che
rientrano nelle competenza della Provincia medesima;
m) - l'art. 15, il quale attribuisce al
Governo la potestà regolamentare di integrazione di tutti i
regolamenti emanati in base alla legge n. 109 del 1994, e, nel
comma 2, autorizza i regolamenti emanati in esercizio della
potestà di cui al comma 1 ad abrogare o derogare, dalla loro
entrata in vigore, le norme di diverso contenuto precedentemente
vigenti nella materia, si porrebbe in contrasto, ad avviso della
Regione Toscana, con l'art. 1, comma 3, della legge di delega n.
443 del 2001, che delegava il Governo ad integrare e modificare
solo il regolamento n. 554 del 1999. Tutte le ricorrenti
lamentano inoltre che l'attribuzione al Governo di potestà
regolamentare in materia di appalti e di opere pubbliche, materia
che non sarebbe qualificabile come di potestà esclusiva statale,
contravverrebbe al rigido riparto di competenza posto nell'art.
117, sesto comma, Cost. La potestà di dettare norme
regolamentari in materie diverse da quelle di legislazione
esclusiva non potrebbe essere riconosciuta neppure alla
condizione che i regolamenti statali siano cedevoli rispetto a
quelli regionali, poiché l'articolo impugnato avrebbe
espressamente escluso la propria cedevolezza per la parte della
disciplina da esso recata non riconducibile a materie di
competenza esclusiva statale. Il medesimo articolo è impugnato
dalla Provincia autonoma di Bolzano nel comma 4, ove si statuisce
l'applicabilità nei confronti delle Regioni e delle Province
autonome della disciplina regolamentare adottata dallo Stato con
il d.P.R. 23 dicembre 1999, n. 554, in radicale contrasto con
quanto statuito da questa Corte nella sentenza n. 482 del 1995;
n) - l'art. 16, commi 1, 2, 3, 6 e 7, il
quale, anticipando la disciplina procedimentale oggetto di
impugnazione ai progetti già in corso, incorrerebbe, secondo la
Regione Toscana, nei medesimi vizi già illustrati in riferimento
alle singole fasi del procedimento;
o) - gli artt. 17, 18, 19 e 20, per la parte
in cui dettano una disciplina della procedura di VIA di opere e
infrastrutture che deroga alla disciplina regionale e
provinciale, sono denunciati dalle Regioni Marche e Toscana, le
quali ritengono lese le proprie competenze a disciplinare gli
strumenti attuativi della tutela dell'ambiente dettati dal
legislatore comunitario;
p) - l'art. 19, comma 2, che demanda la
valutazione di impatto ambientale a una commissione speciale
costituita dal Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta
del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, sarebbe
illegittimo, a giudizio delle Regioni Marche e Toscana, per la
mancata previsione di una partecipazione delle Regioni, che
sarebbero in tal modo estromesse dalla funzione di attuazione del
valore costituzionale «ambiente»;
q) - gli artt. 1, commi 1 e 7; 2, commi 1,
2, 3, 4, 5, e 7; 3, commi 4, 5, 6 e 9; 13, comma 5; e 15, nel
prevedere procedimenti di approvazione che comportano
l'automatica variazione degli strumenti urbanistici, determinano
l'accertamento della compatibilità ambientale e sostituiscono
ogni altra autorizzazione, approvazione e parere,
disattenderebbero, secondo la Provincia autonoma di Bolzano, le
norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto
Adige recate dal d.P.R. n. 381 del 1994, che subordinano
l'adozione di alcune delle opere previste dal decreto impugnato
alla previa intesa con la Provincia.
19. -Si è costituito in tutti i giudizi il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che i ricorsi
siano dichiarati infondati. La difesa erariale sostiene
innanzitutto che la materia dei lavori pubblici, non richiamata
nel nuovo testo dell'art. 117 Cost., non potrebbe essere ascritta
alla potestà residuale della Regione, ma che, al contrario, lo
Stato conserverebbe la potestà legislativa di principio per la
disciplina degli appalti riferibili alle materie comprese nella
potestà legislativa concorrente. Ciò senza considerare che
anche nel nuovo Titolo V l'interesse nazionale potrebbe
legittimare il superamento della ripartizione per materie posta
nel medesimo art. 117.
Inoltre, prosegue l'Avvocatura, la legge n.
166 del 2002, recependo le istanze regionali, avrebbe previsto
che l'individuazione delle opere avvenga d'intesa fra lo Stato e
le Regioni, sicché il decreto impugnato si dovrebbe considerare
rispettoso delle attribuzioni regionali. La partecipazione
effettiva delle Regioni alla fase di approvazione, come prevede
l'art. 2, comma 1, del decreto impugnato, priverebbe di
fondamento la censura relativa al potere sostitutivo conferito al
Governo nell'ipotesi di dissenso della Regione interessata, tanto
più che la fattispecie sarebbe perfettamente conforme allo
schema di esercizio del potere sostitutivo delineato nell'art.
120, secondo comma, Cost., venendo in questione opere che, per la
loro indubitabile rilevanza strategica, sarebbero in grado di
incidere sull'unità economica del Paese.
Quanto alla ammissibilità di una normativa
statale di dettaglio, ovviamente cedevole, in materia di potestà
concorrente, la difesa del Presidente del Consiglio dei ministri
osserva che ciò risponderebbe «ad una esigenza imprescindibile,
in applicazione del principio di continuità, quando non vi sia
alcuna altra norma applicabile alla fattispecie». Neppure
dovrebbe dirsi leso l'art. 118 Cost., poiché la nuova
formulazione di tale articolo attribuisce le funzioni
amministrative sulla base del principio di sussidiarietà,
precisando che tali funzioni devono essere attribuite allo Stato
quando occorra assicurarne l'esercizio unitario, ciò che,
secondo l'Avvocatura, accadrebbe nel caso di specie, dovendosi
realizzare opere di "preminente interesse nazionale".
Con riguardo alle censure che investono la
previsione della nomina governativa di un commissario
straordinario che vigili sull'andamento delle opere e
l'attribuzione ad esso del potere di adottare i provvedimenti
necessari alla tempestiva esecuzione dell'opera, la difesa
erariale replica osservando: che la procedura ha luogo solo per
le opere di interesse internazionale o interregionale; che
comunque è previsto che siano sentiti i Presidenti delle Regioni
coinvolte; che infine i poteri sostitutivi del commissario non
potranno oltrepassare le competenze dell'ente conferente, non
potendo lo Stato conferire poteri maggiori di quelli di cui esso
stesso gode.
In merito alla mancata previsione della
partecipazione regionale alla procedura di valutazione di impatto
ambientale dell'opera si rileva che la VIA attiene alla tutela
dell'ambiente, materia attribuita alla competenza esclusiva dello
Stato.
20. -In prossimità dell'udienza pubblica
del 25 marzo 2003 tutte le parti hanno depositato ulteriori
memorie difensive. La Regione Toscana e la Provincia autonoma di
Bolzano contestano l'esistenza di un criterio di strumentalità
della materia dei lavori pubblici, dal quale discenderebbe la
conseguenza che lo Stato sarebbe abilitato a dettare i principî
per la disciplina degli appalti riferibili alle materie soggette
alla potestà legislativa concorrente. Di strumentalità, si
argomenta nel ricorso toscano, si potrebbe parlare solo se
nell'art. 117 Cost. fosse stata inserita tra le materie riservate
allo Stato quella dei "lavori pubblici di interesse
nazionale", ciò che non è avvenuto. Anche ad accedere alla
tesi della strumentalità, peraltro, non verrebbero meno le
ragioni di illegittimità costituzionale delle norme denunciate.
In tale ottica, osservano la Regione Toscana e la Provincia
autonoma di Bolzano, dovrebbe comunque essere ritenuta di
competenza statale la sola disciplina delle opere pubbliche
comprese nelle materie di competenza legislativa esclusiva
statale, ad esempio le opere concernenti la difesa o l'ordine
pubblico, non anche tutte le altre opere che i decreti impugnati
invece menzionano e regolamentano con normativa di minuto
dettaglio. Allo Stato, prosegue la Provincia autonoma di Bolzano,
spetterebbe solo la determinazione dei principî fondamentali
della disciplina dei lavori che riguardino le infrastrutture
sulle quali è riconosciuta una potestà legislativa concorrente
e quindi, proprio applicando il criterio della strumentalità,
non si giustificherebbe la disciplina statale delle procedure per
la realizzazione di infrastrutture riconducibili a materie
attribuite alla competenza esclusiva o concorrente della
Provincia.
Del pari infondata, secondo tutte le
ricorrenti, sarebbe la tesi statale secondo la quale l'interesse
nazionale rappresenterebbe ancora un limite alla potestà
legislativa regionale che consentirebbe di superare la
ripartizione posta nell'art. 117 Cost., giacché in tal modo
sarebbe inammissibilmente reintrodotto in Costituzione un limite
che non è più espressamente previsto. La tutela degli interessi
unitari potrebbe ormai essere realizzata solo attraverso poteri e
istituti espressamente previsti in Costituzione. Si aggiunge
nella memoria della Provincia autonoma di Trento che, se le
Regioni non potessero intervenire là dove sono in gioco
interessi nazionali, non si giustificherebbero nemmeno i poteri
sostitutivi disciplinati nell'art. 120, secondo comma, Cost.
Inoltre, osserva la Provincia, già dall'art. 13 del
decreto-legge n. 67 del 1997, risultava che opere "di
rilevante interesse nazionale" potevano non di meno essere
di competenza regionale, mentre il decreto legislativo n. 112 del
1998 avrebbe attribuito allo Stato la competenza su "grandi
reti infrastrutturali dichiarate di interesse nazionale con legge
statale" sul presupposto che non fosse giustificabile una
disciplina che, come quella impugnata, rimettesse la definizione
di tale interesse alla discrezionalità del Governo.
Neppure si potrebbe affermare, soggiunge la
Regione Toscana, che la normativa impugnata sarebbe rispettosa
dell'autonomia regionale poiché è stato in essa previsto che
l'individuazione delle opere sia effettuata d'intesa fra Stato e
Regioni e l'approvazione dei progetti avvenga attraverso
l'intesa. Gli accordi e le intese non possono infatti vincolare
il legislatore statale o regionale, visto che l'ordine
costituzionale delle competenze legislative è indisponibile. Il
richiamo che la difesa erariale fa all'art. 120 Cost., si
prosegue nella memoria della Toscana, non sarebbe pertinente,
perché tale disposizione richiede la definizione, con legge,
delle procedure atte a garantire che il potere sostitutivo sia
esercitato nel rispetto del principio di sussidiarietà e di
leale collaborazione, e tale legge non è stata ancora emanata,
con conseguente impossibilità di applicare il medesimo art. 120.
Inoltre l'intervento sostitutivo in discorso sarebbe attivato in
assenza di un inadempimento regionale, e per effetto della sola
manifestazione del dissenso da parte della Regione (memoria della
Regione Toscana), e non sarebbe giustificabile con l'esigenza di
garantire l'unità economica del Paese (memoria della Provincia
autonoma di Bolzano), sicché l'avere legittimato un intervento
sostitutivo in assenza di ogni inadempimento regionale sarebbe
ragione di illegittimità del decreto legislativo per violazione
del principio di leale collaborazione, richiamato dallo stesso
art. 120, secondo comma, Cost.
Quanto alla asserita legittimità delle
norme di dettaglio "cedevoli", le ricorrenti ricordano
la sentenza n. 282 del 2002 di questa Corte, dalla quale sarebbe
chiaramente desumibile che la competenza statale nelle materie di
potestà concorrente è «limitata alla determinazione dei
principî fondamentali della materia», sicché non sarebbero
più ammissibili normative suppletive statali.
L'Avvocatura, si osserva nella memoria della
Provincia autonoma di Bolzano, invoca la legge n. 166 del 2002,
che, a suo dire, avrebbe recepito le istanze regionali in
materia, ma il richiamo sarebbe inconferente, poiché la legge in
questione è precedente rispetto al decreto impugnato, così da
non poter spiegare alcuna influenza sulla questione all'esame
della Corte. Nella medesima memoria e in quella della Provincia
di Trento si ribadisce che la soluzione procedimentale
contemplata nell'art. 3, comma 6, per superare il dissenso della
Provincia sarebbe illegittima, per la mancata previsione di
un'intesa, e respinge sul punto le diverse considerazioni
dell'Avvocatura, che invocherebbe in modo errato l'art. 1, comma
2, del decreto impugnato. Parimenti incostituzionale sarebbe la
nomina del commissario straordinario. Il rilievo che la procedura
censurata riguarderebbe soltanto le opere di interesse
internazionale o interregionale, oltre a non trovare fondamento
nella lettera della norma impugnata (così nella memoria della
Provincia autonoma di Trento) non varrebbe comunque a farne
venire meno l'illegittimità, posto che per i collegamenti di
tale natura gli artt. 19, 20 e 21 del d.P.R. n. 381 del 1974
imporrebbero il raggiungimento di un'intesa, non essendo
sufficiente la mera audizione dei Presidenti delle Regioni
interessate (memorie delle Province autonome di Trento e
Bolzano).
In riferimento alla denunciata lesione
dell'art. 118 Cost., secondo la Provincia autonoma di Bolzano,
non sarebbe possibile invocare la sussistenza di esigenze
unitarie relativamente alle funzioni amministrative, giacché la
Costituzione, «lasciando alle Regioni la competenza a dettare la
disciplina della materia, ha ritenuto che non sussistesse
un'esigenza di assoluta uniformità tra Regione e Regione nemmeno
quanto a disciplina legislativa». Comunque, alla Provincia di
Bolzano, in base all'art. 16 dello statuto di autonomia, non
potrebbero essere sottratte le funzioni amministrative nelle
materie che rientrano nella sua competenza legislativa, non
essendo applicabile alla medesima l'art. 118 Cost., quando ciò
determini un regime di minor garanzia rispetto a quello
assicurato dallo statuto. Inoltre, si legge nella memoria della
Provincia autonoma di Trento, l'art. 118 sancirebbe il principio
del parallelismo non quanto alla spettanza delle funzioni
amministrative, ma in ordine al potere di allocare le funzioni,
sicché lo Stato non avrebbe avuto il potere di allocare le
funzioni amministrative relative a opere pubbliche, salvo quelle
rientranti in materie di potestà legislativa esclusiva statale.
21. -Ha anche depositato ulteriori memorie,
per il Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura
generale dello Stato. La difesa erariale muove dalla
constatazione che non si possano enfatizzare gli aspetti
innovativi della riforma del Titolo V e al contempo continuare ad
utilizzare schemi concettuali propri del precedente assetto
costituzionale, occorrendo al contrario «ampliare l'orizzonte
all'esperienza degli Stati federali». In simile prospettiva
sarebbe innegabile la rilevanza costituzionale dell'interesse
nazionale, che legittima, negli Stati Uniti con la formula degli
implied powers, in Germania con quella della Sachzusammenhang
(connessione delle materie) e con la Natur der Sache (natura
della cosa), l'intervento della Federazione nelle materie di
competenza degli Stati membri. Proprio in considerazione della
natura delle opere da realizzare in base al decreto impugnato,
che pur avendo rilevanza regionale, convergerebbero
funzionalmente nel programma di modernizzazione del Paese,
sarebbe evidente come la competenza debba spettare allo Stato. I
soggetti privati non sarebbero infatti invogliati a investire
risorse se la localizzazione e progettazione delle opere venisse
rimessa a discipline e soggetti diversi e la stessa procedura per
l'individuazione del contraente, che incide sulle condizioni
economiche dell'operazione, dipendesse dalle scelte legislative e
amministrative di ogni Regione. Per ragioni analoghe sarebbero
legittimi anche i meccanismi di superamento del dissenso
regionale e gli interventi sostitutivi da parte dei commissari
straordinari, i quali sarebbero diretti non solo a garantire
l'interesse pubblico statale alla realizzazione dell'opera, ma
anche a diminuire il "rischio amministrativo"
dell'operazione finanziata con capitali privati. Alla luce di
tali considerazioni l'Avvocatura sostiene che le attribuzioni
costituzionali delle Regioni riceverebbero adeguata
considerazione nella partecipazione alle sedi deliberative
statali.
Tornando al tema della configurabilità del
limite dell'interesse nazionale, l'Avvocatura ricorda come nel
dibattito dottrinario siano state numerose le voci che hanno
radicato tale limite nell'art. 5 Cost., e, con specifico riguardo
alla materia dei lavori pubblici, osserva come essa presenti
aspetti che non possono prescindere da un'impostazione unitaria.
Il regime degli appalti, ad esempio, presupporrebbe la
concorrenza delle imprese, materia che risulta assegnata alla
competenza esclusiva dello Stato, e sempre alla tutela della
concorrenza dovrebbe essere ricondotta tutta la disciplina che
riguarda i meccanismi di aggiudicazione e di qualificazione delle
imprese con riferimento alla materia delle opere pubbliche, che
pure è di competenza regionale. Proprio in considerazione dei
profili delle materie di potestà concorrente che possono
incidere su interessi tutelati a livello unitario, e ricadenti
nell'ambito delle materie di competenza esclusiva statale,
sarebbe giustificato il ricorso a una gestione uniforme e
ispirata a esigenze di sicurezza e di efficienza a livello
nazionale di opere infrastrutturali essenziali allo sviluppo del
Paese.
22. -Le Regioni Campania, Toscana, Marche,
Basilicata, Emilia-Romagna, Umbria, Lombardia hanno proposto
questione di legittimità costituzionale in via principale, in
riferimento agli artt. 3, 9, 32, 41, 42, 44, 70, 76, 77, 97, 114,
117, 118 e 119 Cost., nonché all'art. 174 del trattato
istitutivo della Comunità europea, dell'intero decreto
legislativo 4 settembre 2002, n. 198, recante "Disposizioni
volte ad accelerare la realizzazione delle infrastrutture di
telecomunicazioni strategiche per la modernizzazione e lo
sviluppo del Paese, a norma dell'art. 1, comma 2, della legge 21
dicembre 2001, n. 443", e in particolare degli artt. 1, 3,
4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11 e 12.
Nei ricorsi regionali si osserva in via
preliminare che la legge di delega n. 443 del 2001 autorizzava
l'adozione di una normativa specifica per le sole infrastrutture
di telecomunicazione puntualmente individuate anno per anno,
mentre nel caso di specie non vi sarebbe stata tale
individuazione, ma esclusivamente una «sintesi del piano degli
interventi nel comparto delle comunicazioni». Inoltre, si
osserva nei ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna e Umbria, la
delega sarebbe stata conferita per la realizzazione di
"grandi opere", mentre tralicci, pali, antenne,
impianti radiotrasmittenti, ripetitori, che il decreto
legislativo n. 198 disciplina, costituirebbero solo una
molteplicità di piccole opere, del tutto estranee all'oggetto
della delega. Infine, si aggiunge nei ricorsi delle Regioni
Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia, lungi dall'uniformarsi ai
principî e criteri direttivi della delega, il decreto impugnato,
nell'art. 1, porrebbe i principî che informano le disposizioni
successive, con ciò confermando la violazione della delega.
Si invoca la violazione dei limiti della
delega, nello specifico:
a) - per l'art. 3, in quanto la delega
stabiliva che le infrastrutture strategiche dovessero essere
individuate d'intesa con la Regione, mentre di tale intesa non vi
sarebbe traccia (ricorso della Regione Toscana);
b) - per l'art. 3, comma 1, sull'assunto che
non era stato conferito al Governo alcun potere di derogare alle
norme della legge 22 febbraio del 2001, n. 36 (ricorso delle
Regioni Marche e Lombardia);
c) - per l'art. 3, comma 2, che dispone la
deroga, sotto il profilo urbanistico, "ad ogni altra
disposizione di legge o di regolamento", là dove l'art. 1,
comma 2, della legge n. 443 del 2001 prevedeva solo una deroga
«agli articoli 2, da 7 a 16, 19, 20, 21, da 23 a 30, 32, 34,
37-bis, 37-ter e 37-quater della legge 11 febbraio 1994, n.
109», nonché alle ulteriori disposizioni della medesima legge
che non fossero necessaria ed immediata applicazione delle
direttive comunitarie (ricorsi delle Regioni Marche e Lombardia);
d) - per l'art. 4, comma 1, poiché in tale
disposizione mancherebbe ogni riferimento a infrastrutture che
siano state dichiarate "strategiche" ai sensi della
legge n. 443 del 2001, così da potere essere riferita alle
infrastrutture radioelettriche tout court (tutti i ricorsi);
e) - per l'art. 11, che avrebbe
illegittimamente innovato al d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156
(ricorso della Regione Marche);
f) - per l'art. 12, commi 1 e 2, il quale,
disponendo l'efficacia delle nuova disciplina anche alle
installazioni di infrastrutture già assentite dalle
amministrazioni, farebbe assumere al decreto impugnato, in
assenza di una specifica previsione di infrastrutture di
telecomunicazioni strategiche nel programma approvato dal CIPE
nel 2001, una efficacia retroattiva (ricorsi delle Regioni
Toscana e Marche);
g) - per l'art. 12, comma 4, che avrebbe
eliminato le procedure di "valutazione di impatto
ambientale", là dove la delega contemplava solo la loro
riforma (ricorso della Regione Marche). Inoltre la medesima
delega stabiliva che le infrastrutture strategiche sarebbero
state individuate d'intesa con la Regione, ma di tale intesa non
vi sarebbe traccia nell'art. 3 del decreto legislativo impugnato
(ricorso della Regione Toscana).
In merito alla denunciata lesione dell'art.
117 Cost., nei ricorsi delle Regioni Campania, Toscana, Marche,
Basilicata e Lombardia si sostiene che il decreto legislativo n.
198 disciplinerebbe oggetti riconducibili alle materie
"ordinamento della comunicazione", "governo del
territorio" e "tutela della salute", di potestà
concorrente, con disposizioni di minuto dettaglio. Nei ricorsi
delle Regioni Emilia-Romagna e Umbria, dopo aver notato come sia
lo stesso legislatore a escludere di agire nell'esercizio della
potestà esclusiva quando asserisce, all'art. 1, di dettare i
"principî fondamentali" nella materia considerata, si
afferma che nella materia oggetto del decreto legislativo n. 198
spetterebbe alle Regioni una potestà legislativa piena, salvi
gli aspetti relativi alla tutela dell'ambiente, della salute e
quelli collegati al governo del territorio, ossia alla
localizzazione delle opere.
Risulterebbe inoltre indefinito, secondo la
ricorrente Regione Marche, lo stesso criterio di individuazione
delle infrastrutture di telecomunicazione che dovrebbero
rientrare nell'ambito della disciplina derogatoria prevista dal
legislatore delegante. Il provvedimento del CIPE al quale, ai
sensi dell'art. 1, comma 1, della legge di delega, era affidata
l'individuazione delle opere, infatti, avrebbe semplicemente
indicato i flussi di investimento, non anche le opere da
realizzare. Da ciò la conclusione che le infrastrutture di
telecomunicazioni si atterrebbero, per una parte, alla materia di
potestà concorrente "ordinamento della comunicazione",
per l'altra, a materie come l'urbanistica e l'edilizia,
l'industria e il commercio, che sarebbero ascrivibili alla
potestà legislativa residuale delle Regioni e che non potrebbero
essere svuotate del loro contenuto semplicemente invocando il
carattere di "interesse nazionale" delle opere da
realizzare.
Nello specifico, i ricorsi regionali
censurano le seguenti disposizioni del decreto legislativo n. 198
del 2002:
a) - l'art. 1, che imporrebbe, con
normazione di dettaglio, una procedura derogatoria e unificata a
livello nazionale per opere che rientrerebbero anche nella
competenza regionale, per la connessione dell'oggetto della
disciplina con materie di competenza regionale sia concorrente,
sia residuale (ricorsi delle Regioni Campania, Marche, Basilicata
e Lombardia);
b) - l'art. 3, per la parte in cui afferma
che le categorie di infrastrutture di telecomunicazioni
strategiche sono opere di interesse nazionale, realizzabili
esclusivamente sulla base delle procedure definite nel decreto,
in deroga alle disposizioni dell'art. 8, comma 1, lettera c),
della legge n. 36 del 2001, che aveva previsto la competenza
legislativa regionale nella definizione delle modalità per il
rilascio delle autorizzazioni all'installazione degli impianti; i
commi 2 e 3 del medesimo articolo sono inoltre impugnati in
quanto stabiliscono che le infrastrutture di comunicazione
possono essere realizzate in ogni parte del territorio comunale
anche in deroga agli strumenti urbanistici e ad ogni altra
disposizione di legge o di regolamento, con la precisazione che
la disciplina delle opere di urbanizzazione primaria è
applicabile alle opere civili e in genere ai lavori e alle reti
indispensabili per la realizzazione delle infrastrutture di
telecomunicazione. La deroga alle previsioni urbanistiche ed
edilizie locali determinerebbe lesione delle competenze regionali
in materia di ordinamento della comunicazione, governo del
territorio, urbanistica ed edilizia e renderebbe vana ogni
pianificazione territoriale, anche a livello comunale (ricorsi
delle Regioni Toscana, Marche, Basilicata, Emilia-Romagna, Umbria
e Lombardia); inoltre la medesima disposizione, liberalizzando,
sotto il profilo urbanistico, il diritto di installazione degli
impianti di telecomunicazione, sacrificherebbe in modo eccessivo
interessi costituzionali come quello alla tutela del paesaggio e
all'ordinato sviluppo urbanistico del territorio, determinando
una violazione del limite della utilità sociale che l'art. 41
Cost. pone alla iniziativa economica privata (ricorsi delle
Regioni Emilia-Romagna e Umbria);
c) - l'art. 4, il quale prevede che
l'autorizzazione alla installazione sia rilasciata previo
accertamento della compatibilità del progetto con i limiti di
esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità
stabiliti, con riferimento ai campi elettromagnetici,
uniformemente a livello nazionale. Così disponendo, il
legislatore statale avrebbe vanificato la legislazione regionale
già adottata in materia sulla base dell'art. 3, comma 1, lettera
d), della legge n. 36 del 2001 (ricorsi Toscana, Emilia-Romagna e
Umbria) e impedito alle Regioni di porre, a tutela di interessi
sanitari e ambientali delle rispettive popolazioni, misure di
garanzia ulteriori rispetto a quelle che il legislatore nazionale
abbia fissato su tutto il territorio nazionale (ricorso della
Regione Lombardia);
d) - gli artt. 5 e 6, nel disciplinare i
procedimenti di autorizzazione relativi alle infrastrutture di
telecomunicazione per impianti radioelettrici, detterebbero
regole di estremo dettaglio in materia di competenza regionale
concorrente; inoltre le disposizioni in oggetto, unitamente
all'art. 7, comma 7, autorizzando l'installazione degli impianti
in qualunque posizione, senza imporre distanze minime dalle
abitazioni, recherebbero un eccessivo e ingiustificato
pregiudizio alla tutela dell'ambiente e della salute e
violerebbero in particolare il principio di precauzione di cui
all'art. 174, comma 2, del trattato istitutivo della CE, non
essendo consentito, in tale materia, affidarsi alla
"autodisciplina" dei privati come si è fatto con la
previsione di denunce di inizio attività e meccanismi di
silenzio-assenso (ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna, Umbria e
Lombardia);
e) - gli artt. 7, 8, 9 e 10, che pongono una
disciplina di favore per le opere civili, gli scavi e le
occupazioni di suolo pubblico strumentali alla realizzazione
delle infrastrutture di telecomunicazione, favorirebbero alcuni
operatori nel settore delle telecomunicazioni senza che le
Regioni, pur titolari della potestà legislativa in materia di
ordinamento della comunicazione, abbiano in alcun modo potuto
interloquire sulla individuazione di tali soggetti e sulla
necessità di ammetterli a tale regime speciale e derogatorio
(tutte le ricorrenti);
f) - l'art. 12, il quale, nel dettare le
disposizioni finali, attribuisce valore di autorizzazione e di
dichiarazione di inizio attività anche ai titoli già rilasciati
per l'installazione delle infrastrutture e alle istanze già
presentate, alla data di entrata in vigore della nuova normativa,
per gli impianti con tecnologia UMTS o con potenza di antenna
eguale o inferiore a 20 Watt. La disposizione in oggetto, per un
verso, anticiperebbe l'applicazione della nuova normativa anche a
infrastrutture che non sono state ancora individuate con il
programma delle opere strategiche, contraddicendo così l'art. 1
della legge di delega n. 443 del 2001, per l'altro estenderebbe
retroattivamente la disciplina derogatoria già denunciata come
lesiva delle competenze regionali. Pure incostituzionale sarebbe,
secondo la Regione Marche, l'abrogazione dell'art. 2-bis della
legge 1° luglio 1997, n. 189, per effetto della quale
risulterebbe esclusa la competenza della Regione a prevedere,
nell'esercizio delle proprie attribuzioni legislative,
l'applicazione di procedure di valutazione di impatto ambientale
anche in relazione ad oggetti non specificamente individuati
dalle direttive comunitarie.
Ulteriori censure, diverse da quelle che
denunciano la violazione del quadro costituzionale delle
competenze legislative, investono:
a) - gli artt. 3, comma 2; 5; 7; 9; 12,
commi 3 e 4; nonché gli allegati A, B, C e D. Le norme e gli
allegati in discorso attribuirebbero al Governo un potestà
normativa diretta alla modificazione o integrazione dei
regolamenti di esecuzione e attuazione della legislazione finora
vigenti in materie di potestà concorrente, in tal modo violando
l'art. 117, sesto comma, Cost., il quale riconosce allo Stato la
potestà regolamentare solo nelle materie di legislazione
esclusiva statale (ricorso della Regione Marche);
b) - gli articoli e allegati citati nel
punto precedente (ricorso della Regione Marche), nonché gli
artt. da 4 a 9 (ricorso della Regione Toscana), che, nel
disciplinare dettagliatamente il procedimento per il rilascio dei
titoli abilitativi per l'installazione delle infrastrutture di
telecomunicazioni e per le opere connesse, si porrebbero in
contrasto con l'art. 118 Cost., il quale affiderebbe alle Regioni
la competenza a distribuire le funzioni nelle materie in cui è
ad esse riconosciuta potestà legislativa concorrente o
residuale. Nel caso di specie sarebbe lesiva delle attribuzioni
regionali l'allocazione a livello centrale delle funzioni
amministrative relative alla specifica localizzazione sul
territorio e alla concreta realizzazione delle infrastrutture di
telecomunicazione;
c) - gli artt. 5, commi 3, 4, 5, 6, e 7; 6,
comma 1; 7, commi 2, 3, 4, 5, 6, e 7; 8, comma 3; 9, commi 1, 2,
e 3; 12, comma 4 (ricorso della Regione Marche), che, disponendo
una serie di semplificazioni procedurali dei processi decisionali
per la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni
impedirebbero alle Regioni di concorrere all'attuazione del
valore costituzionale della tutela ambientale;
d) - in particolare gli artt. 7, comma 5; e
9, comma 3, sono impugnati nel ricorso della Regione Basilicata
per la parte in cui prevedono che nell'ipotesi di contrasto fra
le amministrazioni interessate nella procedura di installazione
di infrastrutture di comunicazione la decisione sia rimessa al
Presidente del Consiglio dei ministri, con ciò sacrificando,
secondo la prospettazione regionale, le attribuzioni riconosciute
in materia alla Regione e contraddicendo la legge n. 241 del
1990, che affida la decisione finale al Consiglio dei ministri
solo quando l'amministrazione dissenziente o procedente sia
un'amministrazione statale e non anche nelle altre ipotesi, nelle
quali la potestà decisionale sarebbe conferita ai competenti
organi esecutivi degli enti territoriali;
e) l'art. 9, commi 5 e 10, per la
parte in cui impone agli enti locali forme di programmazione in
tempi predefiniti dal legislatore statale e limita, per gli
operatori, gli oneri connessi alle attività di installazione,
scavo e occupazione di suolo pubblico, violerebbe il principio
dell'autonomia finanziaria, il quale postulerebbe che tutte le
funzioni amministrative spettanti alle Regioni e diverse da
quelle ordinarie siano finanziate attraverso la diretta
attribuzione di risorse ai loro bilanci, senza vincoli sulle
modalità di spesa, e comunque precluderebbe allo Stato di
limitare l'autonomia regionale nella selezione degli strumenti da
impiegare per realizzare le grandi opere di interesse nazionale
(ricorsi delle Regioni Campania, Toscana, Marche, Emilia-Romagna
e Umbria);
f) - gli artt. 5, comma 6; 7, comma 4; 9,
comma 2, che estendono la regola della maggioranza all'adozione
dell'atto finale in Conferenza dei servizi, con ciò
determinando, secondo la ricorrente Regione Campania, la totale
pretermissione della volontà della Regione in materie di propria
competenza;
g) - l'intero decreto legislativo, poiché,
nel disporre, nel complesso delle sue disposizioni e segnatamente
nell'art. 13, un trattamento differenziato per le Regioni
ordinarie rispetto alle Regioni ad autonomia speciale, violerebbe
il principio di parità di trattamento fra le autonomie regionali
e il principio di ragionevolezza, posto che tale diversità di
trattamento sarebbe ormai ingiustificata, alla luce della
revisione del Titolo V della Parte II della Costituzione e
specificamente della clausola di estensione di cui all'art. 10
della legge costituzionale n. 3 del 2001 (ricorsi delle Regioni
Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia).
23. -Si è costituito il Presidente del
Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell'Avvocatura
generale dello Stato, e ha chiesto che i ricorsi siano rigettati.
Secondo la difesa erariale non sussisterebbe
alcuna violazione dell'art. 76 Cost., giacché la legge di delega
specificamente riguardava le "infrastrutture pubbliche e
private e gli insediamenti produttivi strategici e di preminente
interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e lo
sviluppo del Paese", la cui individuazione concreta era
rimessa a un programma approvato dal CIPE che, nell'allegato 5,
elencherebbe le infrastrutture di telecomunicazioni per la
realizzazione dei servizi UMTS, banda larga e digitale terrestre.
La piena conformità alla delega del decreto legislativo
impugnato sarebbe comprovata anche dal fatto che con esso si
sarebbero razionalizzate le procedure autorizzatorie per
l'installazione degli impianti di telecomunicazioni, come
richiedeva l'art. 1, comma 2, lettera b), della delega. Il
decreto non inciderebbe neppure, prosegue l'Avvocatura, sulla
disciplina relativa ai limiti di esposizione ai campi
elettromagnetici contenuta nella legge n. 36 del 2001, ma al
contrario imporrebbe il rispetto dei limiti attualmente fissati
nel decreto ministeriale 3 settembre 1997, n. 381.
In ordine alla denunciata lesione della
competenza legislativa concorrente delle Regioni, la difesa
statale sostiene che la materia cui inerisce il decreto
legislativo sia esclusivamente quella della tutela dell'ambiente
e non già quella del governo del territorio e contesta il
rilievo secondo il quale non sarebbe consentito nel caso in esame
stabilire una normativa uniforme a livello nazionale, poiché
alcune Regioni avrebbero già esercitato la loro potestà
legislativa in tema di localizzazione degli impianti di
telecomunicazioni, rammentando come le leggi regionali emanate in
questa materia siano state tutte impugnate dal Governo proprio
sotto il profilo della violazione della competenza esclusiva
statale in materia di ambiente. L'ulteriore interesse sottostante
la disciplina oggetto di impugnazione consisterebbe nella tutela
della concorrenza nel settore delle telecomunicazioni, che
sarebbe certo favorita dalla previsione di procedure
autorizzatorie uniformi su tutto il territorio nazionale.
Quanto alla dedotta violazione dell'art. 118
Cost., l'Avvocatura contesta l'assunto dei ricorrenti, secondo il
quale l'esigenza di esercizio unitario delle funzioni
amministrative non potrebbe costituire un titolo autonomo
legittimante l'intervento del legislatore statale, osservando
come sia ancora controversa, in dottrina, l'applicabilità alla
legislazione concorrente regionale dei principî di
sussidiarietà e di adeguatezza e proseguendo che il limite
dell'interesse nazionale, pur non più menzionato in
Costituzione, potrebbe comunque essere considerato contenuto
implicito del principio di unità e indivisibilità della
Nazione.
24. -Nei giudizi instaurati con i ricorsi
delle Regioni Campania, Toscana e Marche hanno spiegato
intervento le società H3G s.p.a., T.I.M. s.p.a. Telecom
Italia Mobile, Vodafone Omnitel N.V. (già Vodafone Omnitel
s.p.a.), Wind Telecomunicazioni s.p.a.; in quelli introdotti con
i ricorsi delle Regioni Basilicata, Emilia-Romagna, Umbria e
Lombardia tutte le società menzionate, tranne H3G s.p.a. Tutti
gli intervenienti hanno chiesto che le questioni sollevate siano
dichiarate improponibili, inammissibili e comunque infondate.
25. -Avverso gli artt. 1, 3, 4, 5, 6, 7, 9 e
12 e gli allegati A, B, C, D del decreto legislativo n. 198 del
2002 ha proposto ricorso, «per sollevare questione di
legittimità costituzionale e conflitto di attribuzione», anche
il Comune di Vercelli. Il ricorrente ritiene che la propria
legittimazione ad impugnare discenderebbe dal fatto che la
revisione del Titolo V della Parte II della Costituzione avrebbe
attribuito direttamente ai Comuni potestà amministrative e
normative che dovrebbero poter essere difese nel giudizio di
legittimità costituzionale in via di azione e nel giudizio per
conflitto di attribuzione.
25.1. -Nel giudizio promosso dal Comune di
Vercelli si è costituito il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, il quale preliminarmente ha eccepito il difetto di
legittimazione al ricorso da parte del Comune, chiedendo che il
ricorso sia dichiarato improponibile e inammissibile.
Ha spiegato intervento, con atto pervenuto
fuori termine, T.I.M. s.p.a. - Telecom Italia Mobile.
26. -In prossimità dell'udienza pubblica
del 25 marzo tutte le parti, nonché gli intervenienti, hanno
depositato ulteriori memorie difensive.
26.1. -In via preliminare le Regioni
Toscana, Marche, Basilicata, Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia
contestano che la disciplina impugnata riguardi infrastrutture
inserite nel programma di individuazione delle opere strategiche
approvato dal CIPE il 21 dicembre 2001. Si afferma in proposito
che, in base all'allegato 5 richiamato dalla difesa erariale, il
legislatore avrebbe proceduto solo sulla base di una «sintesi
del piano degli interventi nel comparto delle
telecomunicazioni», rinviando a una futura delibera del CIPE
l'individuazione delle opere ritenute strategiche, ciò che
peraltro la legge di delega non avrebbe consentito. La disciplina
impugnata troverebbe dunque applicazione nei confronti di opere
che non sarebbero state indicate come strategiche e si sarebbero
perciò sottratte alla previa intesa con le Regioni. Tale
conclusione, secondo la Regione Toscana, sarebbe confermata
dall'art. 12 del decreto, che attribuisce efficacia retroattiva
alle norme impugnata.
Nelle memorie si contesta anzitutto che il
decreto legislativo in esame, come sostenuto dall'Avvocatura, si
attenga alle materie della tutela della concorrenza (memorie
delle Regioni Campania, Toscana, Marche, Emilia-Romagna, Umbria e
Lombardia) o a quella della tutela dell'ambiente e della salute
(memorie delle Regioni Campania, Toscana, Marche, Basilicata,
Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia), rilevandosi in tale ultimo
caso come la relazione al decreto fornisca una indicazione
palesemente contraria. Del resto, si osserva nelle memorie
difensive di Toscana, Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia, la
giurisprudenza costituzionale più recente sarebbe chiara
nell'affermare che in materia di tutela dell'ambiente spetterebbe
allo Stato solo il potere di fissare standard di tutela uniformi
sull'intero territorio nazionale, non anche di escludere
l'intervento regionale negli ambiti di propria competenza, come
sarebbe quello dei lavori pubblici, materia non più contemplata
negli elenchi dell'art. 117, commi secondo e terzo, Cost. La
stessa tutela della concorrenza, si aggiunge nella memoria delle
Marche, non potrebbe giustificare la previsione di un
procedimento derogatorio delle procedure ordinarie, giacché
nessuna violazione della par condicio degli imprenditori
interessati al settore potrebbe derivare dal rispetto di tali
procedure.
Nella memoria della Regione Toscana si pone
in risalto come la disciplina del procedimento di installazione
degli impianti non costituisca di per sé una materia e si
sostiene che spetterebbe all'ente competente legiferare nella
materia cui inerisce il procedimento. Nelle materie di potestà
concorrente, come quelle coinvolte dalle disposizioni impugnate,
il legislatore statale avrebbe dovuto dettare i principî cui il
legislatore regionale avrebbe dovuto attenersi nella disciplina
legislativa di quel procedimento, conformemente, del resto, a
quanto era stato già fatto con la legge n. 36 del 2001.
Del pari da respingere, si sostiene nella
memoria dell'Emilia-Romagna, sarebbe la prospettazione della
difesa erariale secondo la quale tutte le attività che
coinvolgono interessi sovraregionali, in forza dei principî di
sussidiarietà e di adeguatezza, esigerebbero una disciplina
unitaria a livello statale. Si afferma al riguardo che il decreto
legislativo n. 198 del 2002 non coinvolgerebbe interessi
sovraregionali, disciplinando l'installazione di vari singoli
impianti di comunicazione e che comunque i principî di
sussidiarietà e adeguatezza riguardano l'allocazione delle
funzioni amministrative da parte dei legislatori competenti,
mentre l'allocazione delle funzioni legislative è direttamente
posta nell'art. 117 Cost.
Ad avviso della Regione Lombardia,
nell'impianto del decreto legislativo impugnato assumerebbe una
particolare rilevanza l'art. 3, comma 2, che sancirebbe
l'automatica prevalenza dell'interesse statale alla installazione
delle infrastrutture su tutti gli interessi alla cui tutela sono
preposte le autonomie territoriali, potendo essa derogare anche
agli strumenti urbanistici. La difformità di tale automatismo
rispetto all'ordine costituzionale delle competenze sarebbe stata
già riconosciuta dalla Corte costituzionale in altre consimili
occasioni (si citano, ad esempio, le sentenze n. 524 del 2002 e
n. 206 del 2001), nelle quali la modifica dello strumento
urbanistico senza il consenso della Regione sarebbe stata
ritenuta lesiva delle competenze regionali in materia
urbanistica.
Riguardo agli interventi degli operatori di
telecomunicazione Tim, Wind, Vodafone Omnitel e H3G, le Regioni
Toscana, Marche, Emilia-Romagna e Lombardia ne eccepiscono
preliminarmente la inammissibilità e contestano puntualmente le
argomentazioni da questi spese avverso i ricorsi regionali.
26.2. -L 'Avvocatura generale dello Stato
insiste per il rigetto del ricorso.
Tutti i ricorsi, secondo la difesa statale,
prenderebbero le mosse da una errata impostazione concettuale: la
totale svalutazione della nozione di "rete", che
assumerebbe un decisivo rilievo, tanto sotto il profilo tecnico
quanto nei risvolti giuridici, per quanto attiene alle
infrastrutture di telecomunicazione. La natura delle opere in
oggetto renderebbe del tutto priva di senso la visione
parcellizzata e atomistica dell'impianto di telecomunicazione che
appare sottesa alle censure di costituzionalità. Dalla struttura
fenomenica dell'oggetto della disciplina discenderebbe dunque la
assoluta necessità di fissare, su base nazionale, limiti e
criteri omogenei, uniformi e non discriminanti, in assenza dei
quali una "rete" non sarebbe neppure configurabile. Non
potrebbero comunque essere compromessi, «in assenza di obiettive
ragionevoli giustificazioni e di essenziali interessi meritevoli
di tutela dall'ordinamento», la completezza e la funzionalità
delle reti e l'efficiente espletamento del servizio universale,
che peraltro costituiscono oggetto di obblighi comunitari.
Quanto alla denunciata violazione della
competenza legislativa concorrente delle Regioni si osserva che
la materia cui inerisce il decreto legislativo n. 198 deve
considerarsi quella della tutela dell'ambiente, di competenza
legislativa esclusiva statale: il principale interesse al quale
è preordinata la disciplina impugnata sarebbe infatti quello del
rispetto dei limiti alle emissioni elettromagnetiche. Pur volendo
accedere alla ricostruzione dell'ambiente come materia
trasversale, non potrebbe negarsi, ad avviso della difesa
erariale, che il legislatore nazionale possa fissare principî e
criteri uniformi, per l'intero territorio, proprio ad evitare
distorsioni e impedimenti che metterebbero a rischio la stessa
esistenza della rete unitaria. Del resto la possibilità per lo
Stato di legiferare anche in materie di potestà legislativa
concorrente o addirittura esclusiva, quando vi sia la necessità
di garantire livelli minimi e uniformi di tutela sull'intero
territorio nazionale, sarebbe stata riconosciuta dalla Corte
costituzionale con la sentenza n. 536 del 2002. Nella fattispecie
all'esame della Corte un limite alla legislazione regionale
sarebbe desumibile dall'art. 120, comma 1, Cost., il quale mira
ad escludere che le Regioni possano adottare «provvedimenti che
ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone
e delle cose tra le Regioni»: l'efficacia di funzionamento della
rete potrebbe essere compromessa da normative regionali che
frappongano ostacoli alla sua configurazione funzionale e alla
circolazione degli apparati di telefonia mobile. La normativa
statale impugnata sarebbe poi preordinata ad attuare il principio
costituzionale della tutela della concorrenza, riservata alla
competenza esclusiva statale. Se non fossero definite procedure
certe e uniformi sull'intero territorio nazionale, prosegue la
difesa statale, non solo si violerebbe la disciplina comunitaria,
ma si verrebbe a determinare una anomala distorsione del mercato
sia a livello internazionale, sia all'interno.
Sarebbe da respingere anche la censura
fondata sull'asserita lesione dell'art. 118 Cost., essendo
possibile sostenere, in applicazione del principio di
sussidiarietà, che le potestà regionali debbano conformarsi
agli interessi della comunità regionale, mentre tutte le
attività che coinvolgono interessi sovraregionali esigono una
disciplina unitaria a livello statale, anche nelle materie di
competenza concorrente.
L'Avvocatura si diffonde infine sulle
conseguenze di carattere economico che deriverebbero
dall'accoglimento dei ricorsi e rammenta come l'esigenza di una
armonizzazione nell'adozione di procedure per l'installazione
degli impianti di telecomunicazione sia stata espressa anche
nella cosiddetta direttiva "quadro", 2002/21/CE, in via
di recepimento.
26.3. -Nelle memorie depositate dalle
società TIM s.p.a. - Telecom Italia Mobile, H3G s.p.a., Wind
Telecomunicazioni s.p.a. e Vodafone Omnitel N.V., si argomenta
anzitutto sulla ammissibilità degli interventi proposti e si
sostiene che esse sono titolari di un interesse, rilevante,
autonomo e particolarmente qualificato, anche in virtù della
delibera CIPE n. 121 del 21 dicembre 2001, ad ottenere
l'accertamento della legittimità delle norme impugnate, poiché,
qualora i ricorsi fossero accolti, vi sarebbe una diretta e
irrimediabile lesione della propria libertà di iniziativa
economica. Inoltre, la società TIM assume che negare la
possibilità di intervenire a difesa dei propri interessi
concreterebbe una lesione del diritto di difesa che l'art. 24
Cost. assicura come inviolabile e ciò in quanto, nell'ipotesi di
accoglimento dei ricorsi, la decisione della Corte risulterebbe
incontestabile in altre sedi giudiziarie. La medesima società
chiede in ogni caso che sia preso in considerazione il contributo
informativo che è in grado di offrire a causa della sua
specifica competenza di esercente un servizio di rilevanza
pubblicistica.
Nel merito tutti gli atti di intervento si
diffondono nell'argomentare le ragioni della ritenuta
legittimità del decreto legislativo n. 198 del 2002.
27. -Sono intervenuti, con atti pervenuti
fuori termine, il Comune di Roma nel giudizio promosso con il
ricorso della Regione Umbria; i Comuni di Monte Porzio Catone,
Pontecurone e Mantova nei giudizi promossi con i ricorsi delle
Regioni Campania, Toscana, Marche, Basilicata, Emilia-Romagna,
Umbria, Lombardia e del Comune di Vercelli; il Comune di
Polignano a Mare e il Coordinamento delle associazioni
consumatori (CODACONS) nel giudizio promosso con il ricorso della
Regione Lombardia.
28. -All'udienza pubblica del 25 marzo 2003,
in sede di discussione, le parti ricorrenti, nonché gli
intervenienti, hanno illustrato le rispettive ragioni e ribadito
le conclusioni già rassegnate negli atti depositati.
Considerato in diritto
1. -Le Regioni Marche, Toscana, Umbria ed
Emilia-Romagna e la Provincia autonoma di Trento (reg. ric. nn.
9, 11, 13-15 del 2002) denunciano la legge 21 dicembre 2001, n.
443 (Delega al Governo in materia di infrastrutture ed
insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il
rilancio delle attività produttive), cosiddetta "legge
obiettivo", il cui unico articolo è impugnato in più commi
e, segnatamente, nei commi da 1 a 12 e nel comma 14, censurati
per asserito contrasto con gli articoli 117, 118 e 119 della
Costituzione.
La Regione Toscana (reg. ric. n. 68 del
2002) impugna, per contrasto con gli artt. 117, 118 e 119 Cost.,
anche l'art. 13, commi 1, 3, 4, 5, 6 e 11, della legge 1° agosto
2002, n. 166 (Disposizioni in materia di infrastrutture e
trasporti), che reca alcune modifiche alla legge n. 443 del 2001.
La Regione Toscana, la Provincia autonoma di
Bolzano, la Regione Marche e la Provincia autonoma di Trento
(reg. ric. nn. 79-81 e 83 del 2002) denunciano altresì numerosi
articoli del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190
(Attuazione della legge 21 dicembre 2001, n. 443, per la
realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti
produttivi strategici e di interesse nazionale), in riferimento
agli artt. 76, 117, 118 e 120 Cost., nonché allo statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige, nel testo approvato con
d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle
leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige).
Infine, le Regioni Campania, Toscana,
Marche, Basilicata, Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia ed il
Comune di Vercelli (reg. ric. nn. 84-91 del 2002) impugnano sia
l'intero testo del decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198
(Disposizioni volte ad accelerare la realizzazione delle
infrastrutture di telecomunicazioni strategiche per la
modernizzazione e lo sviluppo del Paese, a norma dell'art. 1,
comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443), sia,
specificamente, numerosi articoli del medesimo decreto
legislativo, lamentando la violazione degli artt. 3, 9, 32, 41,
42, 44, 70, 76, 77, 97, 114, 117, 118 e 119 Cost., nonché
dell'art. 174 del trattato istitutivo della Comunità europea.
1.1. -La stretta connessione per oggetto e
per titolo delle norme denunciate, tutte contenute nella legge di
delega n. 443 del 2001 e nei decreti legislativi n. 190 e n. 198
del 2002 che se ne proclamano attuativi, nonché la sostanziale
analogia delle censure prospettate dalle ricorrenti, rendono
opportuna la trattazione congiunta dei ricorsi, che vanno quindi
decisi con un'unica sentenza.
2. -Prima di affrontare nel merito le
censure proposte dalle ricorrenti è opportuno soffermarsi sul
contenuto della legge n. 443 del 2001. Si tratta di una
disciplina che definisce il procedimento da seguire per
l'individuazione, la localizzazione e la realizzazione delle
infrastrutture pubbliche e private e degli insediamenti
produttivi strategici di preminente interesse nazionale da
realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese. Il
procedimento si articola secondo queste cadenze: il compito di
individuare le suddette opere, da assolversi "nel rispetto
delle attribuzioni costituzionali delle Regioni", è
conferito al Governo (comma 1). Nella sua originaria versione la
disposizione stabiliva che l'individuazione avvenisse, sentita la
Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28
agosto 1997, n. 281, a mezzo di un programma "formulato su
proposta dei Ministri competenti, sentite le Regioni interessate,
ovvero su proposta delle Regioni, sentiti i Ministri
competenti". Il programma doveva tener conto del piano
generale dei trasporti e doveva essere inserito nel Documento di
programmazione economico-finanziaria (DPEF), con indicazione
degli stanziamenti necessari per la realizzazione delle opere.
Nell'individuare le infrastrutture e gli insediamenti strategici
il Governo era tenuto a procedere "secondo finalità di
riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio
nazionale" e ad indicare nel disegno di legge finanziaria
"le risorse necessarie, che integrano i finanziamenti
pubblici, comunitari e privati allo scopo disponibili".
L'originario comma 1 prevedeva, infine, che "in sede di
prima applicazione della presente legge il programma è approvato
dal Comitato interministeriale per la programmazione economica
(CIPE) entro il 31 dicembre 2001".
Il comma 1 dell'art. 1 della legge n. 443
del 2001 è stato modificato dall'art. 13, comma 3, della legge
1° agosto 2002, n. 166, che ha mantenuto in capo al Governo
l'individuazione delle infrastrutture e degli insediamenti
strategici e di preminente interesse nazionale, ma ha elevato il
livello di coinvolgimento delle Regioni e delle Province
autonome, introducendo espressamente un'intesa: in base all'art.
1, comma 1, attualmente vigente, l'individuazione delle opere si
definisce a mezzo di un programma che è predisposto dal Ministro
delle infrastrutture e dei trasporti "d'intesa con i
Ministri competenti e le Regioni o Province autonome
interessate". Tale programma deve essere inserito sempre nel
DPEF ma previo parere del CIPE e "previa intesa della
Conferenza unificata", e gli interventi in esso previsti
"sono automaticamente inseriti nelle intese istituzionali di
programma e negli accordi di programma quadro nei comparti idrici
ed ambientali [
] e sono compresi in un'intesa generale
quadro avente validità pluriennale tra il Governo e ogni singola
Regione o Provincia autonoma, al fine del congiunto coordinamento
e realizzazione delle opere". Anche nella sua attuale
versione la norma ribadisce tuttavia che "in sede di prima
applicazione della presente legge il programma è approvato dal
CIPE entro il 31 dicembre 2001".
Regolata la fase di individuazione delle
infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di
preminente interesse nazionale, la legge n. 443 del 2001, al
comma 2, conferisce al Governo la delega ad emanare, entro 12
mesi dall'entrata in vigore della legge, uno o più decreti
legislativi "volti a definire un quadro normativo
finalizzato alla celere realizzazione delle infrastrutture e
degli insediamenti individuati ai sensi del comma 1",
dettando, alle lettere da a) ad o) del medesimo comma 2, i
principî e i criteri direttivi per l'esercizio del potere
legislativo delegato. Questi ultimi investono molteplici aspetti
di carattere procedimentale: sono fissati i moduli procedurali
per addivenire all'approvazione dei progetti, preliminari e
definitivi, delle opere [lettere b) e c)], dovendo risultare,
quelli preliminari, "comprensivi di quanto necessario per la
localizzazione dell'opera d'intesa con la Regione o la Provincia
autonoma competente, che, a tal fine, provvede a sentire
preventivamente i Comuni interessati" [lettera b)]; sono
individuati i modelli di finanziamento [tecnica di finanza di
progetto: lettera a)], di affidamento [contraente generale o
concessionario: in particolare lettere e) ed f)] e di
aggiudicazione [lettere g) e h)], ed è predisposta la relativa
disciplina, anche in deroga alla legge 11 febbraio 1994, n. 109,
ma nella prescritta osservanza della normativa comunitaria.
L'assetto procedimentale così
sinteticamente descritto - che trova ulteriore svolgimento in
numerose altre disposizioni della legge n. 443 del 2001, tra le
quali quelle sulla disciplina edilizia (commi da 6 a 12 e comma
14), anch'esse impugnate - si completa con il comma 3-bis,
introdotto dal comma 6 dell'art. 13 della legge n. 166 del 2002,
il quale prevede una procedura di approvazione dei progetti
definitivi "alternativa" a quella stabilita dal
precedente comma 2, demandata ad un decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri previa deliberazione del CIPE integrato
dai Presidenti delle Regioni e Province autonome interessate,
sentita la Conferenza unificata e previo parere delle competenti
commissioni parlamentari.
2.1. -Questa Corte non è chiamata, nella
odierna sede, a giudicare se le singole opere inserite nel
programma meritino di essere considerate strategiche, se sia
corretta la loro definizione come interventi di preminente
interesse nazionale o se con tali qualificazioni siano lese
competenze legislative delle Regioni. Simili interrogativi
potranno eventualmente porsi nel caso di impugnazione della
deliberazione approvativa del programma, che non ha natura
legislativa. In questa sede si tratta solo di accertare se il
complesso iter procedimentale prefigurato dal legislatore statale
sia ex se invasivo delle attribuzioni regionali; si deve cioè
appurare se il legislatore nazionale abbia titolo per assumere e
regolare l'esercizio di funzioni amministrative su materie in
relazione alle quali esso non vanti una potestà legislativa
esclusiva, ma solo una potestà concorrente.
Il nuovo art. 117 Cost. distribuisce le
competenze legislative in base ad uno schema imperniato sulla
enumerazione delle competenze statali; con un rovesciamento
completo della previgente tecnica del riparto sono ora affidate
alle Regioni, oltre alle funzioni concorrenti, le funzioni
legislative residuali.
In questo quadro, limitare l'attività
unificante dello Stato alle sole materie espressamente
attribuitegli in potestà esclusiva o alla determinazione dei
principî nelle materie di potestà concorrente, come postulano
le ricorrenti, significherebbe bensì circondare le competenze
legislative delle Regioni di garanzie ferree, ma vorrebbe anche
dire svalutare oltremisura istanze unitarie che pure in assetti
costituzionali fortemente pervasi da pluralismo istituzionale
giustificano, a determinate condizioni, una deroga alla normale
ripartizione di competenze [basti pensare al riguardo alla
legislazione concorrente dell'ordinamento costituzionale tedesco
(konkurrierende Gesetzgebung) o alla clausola di supremazia nel
sistema federale statunitense (Supremacy Clause)]. Anche nel
nostro sistema costituzionale sono presenti congegni volti a
rendere più flessibile un disegno che, in ambiti nei quali
coesistono, intrecciate, attribuzioni e funzioni diverse,
rischierebbe di vanificare, per l'ampia articolazione delle
competenze, istanze di unificazione presenti nei più svariati
contesti di vita, le quali, sul piano dei principî giuridici,
trovano sostegno nella proclamazione di unità e indivisibilità
della Repubblica. Un elemento di flessibilità è indubbiamente
contenuto nell'art. 118, primo comma, Cost., il quale si
riferisce esplicitamente alle funzioni amministrative, ma
introduce per queste un meccanismo dinamico che finisce col
rendere meno rigida, come si chiarirà subito appresso, la stessa
distribuzione delle competenze legislative, là dove prevede che
le funzioni amministrative, generalmente attribuite ai Comuni,
possano essere allocate ad un livello di governo diverso per
assicurarne l'esercizio unitario, sulla base dei principî di
sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. E' del resto
coerente con la matrice teorica e con il significato pratico
della sussidiarietà che essa agisca come subsidium quando un
livello di governo sia inadeguato alle finalità che si intenda
raggiungere; ma se ne è comprovata un'attitudine ascensionale
deve allora concludersi che, quando l'istanza di esercizio
unitario trascende anche l'ambito regionale, la funzione
amministrativa può essere esercitata dallo Stato. Ciò non può
restare senza conseguenze sull'esercizio della funzione
legislativa, giacché il principio di legalità, il quale impone
che anche le funzioni assunte per sussidiarietà siano
organizzate e regolate dalla legge, conduce logicamente ad
escludere che le singole Regioni, con discipline differenziate,
possano organizzare e regolare funzioni amministrative attratte a
livello nazionale e ad affermare che solo la legge statale possa
attendere a un compito siffatto.
2.2. -Una volta stabilito che, nelle materie
di competenza statale esclusiva o concorrente, in virtù
dell'art. 118, primo comma, la legge può attribuire allo Stato
funzioni amministrative e riconosciuto che, in ossequio ai canoni
fondanti dello Stato di diritto, essa è anche abilitata a
organizzarle e regolarle, al fine di renderne l'esercizio
permanentemente raffrontabile a un parametro legale, resta da
chiarire che i principî di sussidiarietà e di adeguatezza
convivono con il normale riparto di competenze legislative
contenuto nel Titolo V e possono giustificarne una deroga solo se
la valutazione dell'interesse pubblico sottostante all'assunzione
di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata, non
risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio
stretto di costituzionalità, e sia oggetto di un accordo
stipulato con la Regione interessata. Che dal congiunto disposto
degli artt. 117 e 118, primo comma, sia desumibile anche il
principio dell'intesa consegue alla peculiare funzione attribuita
alla sussidiarietà, che si discosta in parte da quella già
conosciuta nel nostro diritto di fonte legale. Enunciato nella
legge 15 marzo 1997, n. 59 come criterio ispiratore della
distribuzione legale delle funzioni amministrative fra lo Stato e
gli altri enti territoriali e quindi già operante nella sua
dimensione meramente statica, come fondamento di un ordine
prestabilito di competenze, quel principio, con la sua
incorporazione nel testo della Costituzione, ha visto mutare il
proprio significato. Accanto alla primitiva dimensione statica,
che si fa evidente nella tendenziale attribuzione della
generalità delle funzioni amministrative ai Comuni, è resa,
infatti, attiva una vocazione dinamica della sussidiarietà, che
consente ad essa di operare non più come ratio ispiratrice e
fondamento di un ordine di attribuzioni stabilite e
predeterminate, ma come fattore di flessibilità di quell'ordine
in vista del soddisfacimento di esigenze unitarie.
Ecco dunque dove si fonda una concezione
procedimentale e consensuale della sussidiarietà e
dell'adeguatezza. Si comprende infatti come tali principî non
possano operare quali mere formule verbali capaci con la loro
sola evocazione di modificare a vantaggio della legge nazionale
il riparto costituzionalmente stabilito, perché ciò
equivarrebbe a negare la stessa rigidità della Costituzione. E
si comprende anche come essi non possano assumere la funzione che
aveva un tempo l'interesse nazionale, la cui sola allegazione non
è ora sufficiente a giustificare l'esercizio da parte dello
Stato di una funzione di cui non sia titolare in base all'art.
117 Cost. Nel nuovo Titolo V l'equazione elementare interesse
nazionale = competenza statale, che nella prassi legislativa
previgente sorreggeva l'erosione delle funzioni amministrative e
delle parallele funzioni legislative delle Regioni, è divenuta
priva di ogni valore deontico, giacché l'interesse nazionale non
costituisce più un limite, né di legittimità, né di merito,
alla competenza legislativa regionale.
Ciò impone di annettere ai principî di
sussidiarietà e adeguatezza una valenza squisitamente
procedimentale, poiché l'esigenza di esercizio unitario che
consente di attrarre, insieme alla funzione amministrativa, anche
quella legislativa, può aspirare a superare il vaglio di
legittimità costituzionale solo in presenza di una disciplina
che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le
attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia
le intese, che devono essere condotte in base al principio di
lealtà.
2.3. -La disciplina contenuta nella legge n.
443 del 2001, come quella recata dal decreto legislativo n. 190
del 2002, investe solo materie di potestà statale esclusiva o
concorrente ed è quindi estranea alla materia del contendere la
questione se i principî di sussidiarietà e adeguatezza
permettano di attrarre allo Stato anche competenze legislative
residuali delle Regioni. Ed è opportuno chiarire fin d'ora,
anche per rendere più agevole il successivo argomentare della
presente sentenza, che la mancata inclusione dei "lavori
pubblici" nella elencazione dell'art. 117 Cost.,
diversamente da quanto sostenuto in numerosi ricorsi, non implica
che essi siano oggetto di potestà legislativa residuale delle
Regioni. Al contrario, si tratta di ambiti di legislazione che
non integrano una vera e propria materia, ma si qualificano a
seconda dell'oggetto al quale afferiscono e pertanto possono
essere ascritti di volta in volta a potestà legislative
esclusive dello Stato ovvero a potestà legislative concorrenti.
3. -Alla stregua dei paradigmi individuati
nei paragrafi che precedono, devono essere saggiate le censure
che si appuntano sulla legge n. 443 del 2001, nella sua versione
originaria ed in quella modificata dalla legge n. 166 del 2002.
3.1. -Per primo deve essere esaminato il
ricorso della Provincia autonoma di Trento, nel quale vengono
censurati i commi da 1 a 4 dell'art. 1 della legge n. 443 del
2001 sul parametro dell'art. 117 Cost. Il ricorso è proposto
sulla premessa che le competenze provinciali fondate sullo
statuto speciale non siano scalfite; sarebbero invece lese le
attribuzioni spettanti alla Provincia ai sensi dell'art. 117
Cost., in virtù della clausola di favore contenuta nell'art. 10
della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, secondo la
quale alle Regioni speciali e alle Province autonome, fino
all'adeguamento dei rispettivi statuti, si applica la disciplina
del nuovo titolo V nella parte in cui assicura forme di autonomia
più ampie rispetto a quelle previste dagli statuti stessi. In
particolare, il comma 5 del denunciato art. 1, nel fare salve le
competenze delle Regioni a statuto speciale e delle Province
autonome, di cui agli statuti speciali e alle relative norme di
attuazione, lascerebbe indenni le attribuzioni di cui al d.P.R.
22 marzo 1974, n. 381, per il quale, per gli interventi
concernenti le autostrade (art. 19), la viabilità, le linee
ferroviarie e gli aerodromi (art. 20), lo Stato deve ottenere la
previa intesa della Provincia. Del pari la posizione della
Provincia risulterebbe garantita dal decreto legislativo 16 marzo
1992, n. 266 e segnatamente dall'art. 4, che le riserva "la
gestione amministrativa di ogni opera che lo statuto non assegni
alla competenza statale".
La Provincia, ponendo a base del proprio
ricorso la violazione di competenze più ampie rispetto a quelle
statutarie, che assume derivanti dall'art. 117 Cost., aveva
l'onere di individuarle nel raffronto con le competenze
statutarie, che, per sua stessa ammissione, sono fatte salve
dalla legge oggetto di impugnazione. Ai fini di una corretta
instaurazione del giudizio di legittimità costituzionale la
ricorrente non poteva quindi limitarsi al mero richiamo all'art.
117 Cost.
Il ricorso è pertanto inammissibile.
3.2. -In via preliminare va dichiarato
inammissibile il congiunto intervento ad adiuvandum
dell'Associazione Italia Nostra-Onlus, di Legambiente-Onlus,
dell'Associazione italiana per il World Wide Fund For Nature
(WWF)-Onlus, nel giudizio instaurato con il ricorso della Regione
Toscana avverso la legge n. 166 del 2002. Va qui ribadito
l'orientamento consolidato di questa Corte secondo il quale nei
giudizi di legittimità costituzionale in via di azione non è
ammessa la presenza di soggetti diversi dalla parte ricorrente e
dal titolare della potestà legislativa il cui esercizio è
oggetto di contestazione (cfr., da ultimo, sentenze n. 49 del
2003, n. 533 e n. 510 del 2002, n. 382 del 1999).
4. -Le Regioni Marche, Toscana, Umbria ed
Emilia-Romagna denunciano il comma 1 nella sua prima
formulazione, lamentando anzitutto la violazione dell'art. 117
Cost., perché la relativa disciplina non sarebbe ascrivibile ad
alcuna delle materie di competenza legislativa esclusiva statale;
e del resto, argomentano le ricorrenti, non essendo più
contemplata dall'art. 117 Cost. la materia dei "lavori
pubblici di interesse nazionale", non sarebbe possibile far
riferimento alla dimensione nazionale dell'interesse al fine di
escludere la potestà legislativa regionale o provinciale.
Le predette ricorrenti sostengono poi che
l'individuazione delle grandi opere potrebbe, in parte, rientrare
in uno degli ambiti materiali individuati dall'art. 117, terzo
comma, Cost. (quali porti e aeroporti civili; grandi reti di
trasporto e di navigazione; produzione, trasporto e distribuzione
nazionale dell'energia), ma la disposizione censurata, da un
lato, detterebbe una disciplina di dettaglio e non di principio e
quindi sarebbe comunque lesiva dell'autonomia legislativa
regionale; dall'altro, escluderebbe le Regioni dal processo
"codecisionale", che dovrebbe essere garantito
attraverso lo strumento dell'intesa.
La Regione Marche denuncia inoltre il
medesimo comma 1 per contrasto con gli artt. 118 e 119 Cost. sul
rilievo che non sarebbero stati rispettati i principî di
sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza e che sarebbe
stata lesa l'autonomia finanziaria regionale con l'attribuzione
al Governo del compito di reperire tutti i finanziamenti.
La Regione Toscana, con distinto e
successivo ricorso, impugna il comma 1 anche nella formulazione
modificata dall'art. 13, comma 3, della legge n. 166 del 2002,
ribadendo che la disposizione violerebbe l'art. 117 Cost., in
quanto non troverebbe fondamento nella competenza legislativa
statale esclusiva o concorrente; e in ogni caso, in quanto
detterebbe una disciplina compiuta, dettagliata e minuziosa che
precluderebbe alla Regione ogni possibilità di scelta. La
ricorrente deduce altresì la violazione dell'art. 118, primo
comma, Cost., assumendo che, da un lato, non sarebbero stati
rispettati i criteri di sussidiarietà, differenziazione ed
adeguatezza; dall'altro, le esigenze di esercizio unitario di cui
parla l'art. 118 Cost. non autorizzerebbero una deroga al riparto
della potestà legislativa posto dall'art. 117 Cost. Infine,
sempre ad avviso della Regione Toscana, l'introduzione di
un'intesa con le Regioni interessate e con la Conferenza
unificata ai fini dell'individuazione delle grandi opere non
consentirebbe di eliminare i prospettati dubbi di
incostituzionalità, giacché l'intesa non garantirebbe una reale
forma di coordinamento paritario, in assenza di meccanismi atti
ad impedire che essa sia recessiva dinanzi al preminente potere
dello Stato, che potrebbe procedere anche a fronte del motivato
dissenso regionale.
4.1. -Vanno scrutinate nel merito le censure
che le Regioni sollevano avverso il comma 1 dell'art. 1 della
legge n. 443 del 2001, anche quelle che ne investono l'originaria
versione, dovendosi escludere che le sopravvenute modifiche
recate dall'art. 13, comma 3, della legge n. 166 del 2002 abbiano
determinato sul punto una cessazione della materie del
contendere. Ciò in quanto proprio in base alla disposizione
originaria è stato approvato il programma delle infrastrutture e
degli insediamenti produttivi da parte del CIPE (con delibera n.
121 del 21 dicembre 2001) ed è a tale programma che fa
riferimento anche il comma 1 nel testo novellato dall'art. 13
della legge n. 166 del 2002, come può desumersi chiaramente dal
fatto che la norma, riprendendo in parte la disposizione
anteriore, stabilisce che "in sede di prima applicazione
della presente legge il programma è approvato dal CIPE entro il
31 dicembre 2001".
Tutte le censure sono infondate e per dar
conto di ciò è bene esaminare preliminarmente l'impugnazione
proposta dalla sola Regione Toscana avverso il comma 1, nel testo
sostituito dalla legge 1° agosto 2002, n. 166.
Quando si intendano attrarre allo Stato
funzioni amministrative in sussidiarietà, di regola il titolo
del legiferare deve essere reso evidente in maniera esplicita
perché la sussidiarietà deroga al normale riparto delle
competenze stabilito nell'art. 117 Cost. Tuttavia, nel caso
presente, l'assenza di un richiamo espresso all'art. 118, primo
comma, non fa sorgere alcun dubbio circa l'oggettivo significato
costituzionale dell'operazione compiuta dal legislatore: non di
lesione di competenza delle Regioni si tratta, ma di applicazione
dei principî di sussidiarietà e adeguatezza, che soli possono
consentire quella attrazione di cui si è detto. Predisporre un
programma di infrastrutture pubbliche e private e di insediamenti
produttivi è attività che non mette capo ad attribuzioni
legislative esclusive dello Stato, ma che può coinvolgere anche
potestà legislative concorrenti (governo del territorio, porti e
aeroporti, grandi reti di trasporto, distribuzione nazionale
dell'energia, etc.). Per giudicare se una legge statale che
occupi questo spazio sia invasiva delle attribuzioni regionali o
non costituisca invece applicazione dei principî di
sussidiarietà e adeguatezza diviene elemento valutativo
essenziale la previsione di un'intesa fra lo Stato e le Regioni
interessate, alla quale sia subordinata l'operatività della
disciplina. Nella specie l'intesa è prevista e ad essa è da
ritenersi che il legislatore abbia voluto subordinare l'efficacia
stessa della regolamentazione delle infrastrutture e degli
insediamenti contenuta nel programma di cui all'impugnato comma 1
dell'art. 1. Nel congegno sottostante all'art. 118, l'attrazione
allo Stato di funzioni amministrative da regolare con legge non
è giustificabile solo invocando l'interesse a un esercizio
centralizzato di esse, ma è necessario un procedimento
attraverso il quale l'istanza unitaria venga saggiata nella sua
reale consistenza e quindi commisurata all'esigenza di
coinvolgere i soggetti titolari delle attribuzioni attratte,
salvaguardandone la posizione costituzionale. Ben può darsi,
infatti, che nell'articolarsi del procedimento, al riscontro
concreto delle caratteristiche oggettive dell'opera e
dell'organizzazione di persone e mezzi che essa richiede per
essere realizzata, la pretesa statale di attrarre in
sussidiarietà le funzioni amministrative ad essa relative
risulti vanificata, perché l'interesse sottostante, quale che ne
sia la dimensione, possa essere interamente soddisfatto dalla
Regione, la quale, nel contraddittorio, ispirato al canone di
leale collaborazione, che deve instaurarsi con lo Stato, non solo
alleghi, ma argomenti e dimostri la propria adeguatezza e la
propria capacità di svolgere in tutto o in parte la funzione.
L'esigenza costituzionale che la
sussidiarietà non operi come aprioristica modificazione delle
competenze regionali in astratto, ma come metodo per
l'allocazione di funzioni a livello più adeguato, risulta dunque
appagata dalla disposizione impugnata nella sua attuale
formulazione.
Chiarito che la Costituzione impone, a
salvaguardia delle competenze regionali, che una intesa vi sia,
va altresì soggiunto che non è rilevante se essa preceda
l'individuazione delle infrastrutture ovvero sia successiva ad
una unilaterale attività del Governo. Se dunque tale attività
sia stata già posta in essere, essa non vincola la Regione fin
quando l'intesa non venga raggiunta.
In questo senso sono quindi da respingere
anche le censure che le ricorrenti indirizzano contro il comma 1
dell'art. 1 della legge n. 443 del 2001, nella versione anteriore
alla modifica recata dalla legge n. 166 del 2002, per il fatto
che in essa era previsto che le Regioni fossero solo sentite
singolarmente ed in Conferenza unificata e non veniva invece
esplicitamente sancito il principio dell'intesa.
L'interpretazione coerente con il sistema dei rapporti
Stato-Regioni affermato nel nuovo Titolo V impone infatti di
negare efficacia vincolante a quel programma su cui le Regioni
interessate non abbiano raggiunto un'intesa per la parte che le
riguarda, come nel caso della deliberazione CIPE del 21 dicembre
2001, n. 121.
5. -Tutte le Regioni ricorrenti impugnano il
comma 2 dell'art. 1, che detta - dalla lettera a) alla lettera o)
- i principî ed i criteri direttivi in base ai quali il Governo
è chiamato ad emanare, entro 12 mesi dall'entrata in vigore
della legge, uno o più decreti legislativi "volti a
definire un quadro normativo finalizzato alla celere
realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti
individuati ai sensi del comma 1".
Con analoghe censure, che evocano il
contrasto con l'art. 117 Cost., e, per la Regione Marche, anche
gli artt. 118 e 119 Cost., si deduce anzitutto che la prevista
normativa derogatoria della legge quadro sui lavori pubblici n.
109 del 1994 violerebbe la potestà legislativa esclusiva delle
Regioni in materia di appalti e lavori pubblici.
Si sostiene inoltre che le competenze
regionali sarebbero ugualmente violate anche se si ricadesse
nell'ambito della potestà legislativa concorrente, perché il
denunciato comma 2 detterebbe una disciplina compiuta e di
dettaglio, non cedevole rispetto ad una eventuale futura
legislazione regionale.
Le censure sono genericamente formulate e
quindi inammissibili. Per comprenderlo è sufficiente la
ricognizione del contenuto delle disposizioni denunciate.
Il comma 2 dell'art. 1 della legge n. 443
del 2001 ha ad oggetto la delega ad emanare uno o più decreti
legislativi volti a definire il quadro normativo finalizzato alla
celere realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti
produttivi individuati ai sensi del comma 1. Nell'esercizio della
delega il Governo, autorizzato a riformare le procedure per la
valutazione di impatto ambientale (VIA) e l'autorizzazione
integrata ambientale, nel rispetto dell'art. 2 della direttiva
85/337/CEE, come modificata dalla direttiva 97/11/CE, e ad
introdurre un regime speciale anche derogatorio di numerose
disposizioni della legge 11 febbraio 1994, n. 109, che non siano
necessaria ed immediata applicazione delle direttive comunitarie,
è tenuto a rispettare i principî e criteri direttivi fissati
nelle lettere da a) ad o) del medesimo comma 2.
Come già detto in precedenza, l'indirizzo
imposto al legislatore delegato investe una molteplicità di
aspetti a carattere procedimentale e muove dal modello di
finanziamento delle opere, con il concorso del capitale privato,
attraverso la disciplina della tecnica di finanza di progetto
[lettera a)] per finanziare e realizzare le infrastrutture e gli
insediamenti di cui al comma 1.
La delega autorizza poi il Governo a
definire i moduli procedurali sostitutivi di quelli previsti per
il rilascio dei provvedimenti concessori o autorizzatori di ogni
specie, avuto riguardo anche alla durata delle procedure per
l'approvazione dei progetti preliminari, "comprensivi di
quanto necessario per la localizzazione dell'opera d'intesa con
la Regione o la Provincia autonoma competente, che, a tal fine,
provvede a sentire preventivamente i Comuni interessati, e, ove
prevista, della VIA", nonché a prefigurare le procedure
necessarie per la dichiarazione di pubblica utilità,
indifferibilità ed urgenza e per l'approvazione del progetto
definitivo, con previsione di termini perentori per la
risoluzione delle interferenze con servizi pubblici e privati e
di responsabilità patrimoniali in caso di mancata tempestiva
risoluzione [lettera b)].
Viene quindi impartita al Governo la
direttiva di attribuire al CIPE, integrato dai Presidenti delle
Regioni interessate, il compito di valutare le proposte dei
promotori, di approvare il progetto preliminare e quello
definitivo, di vigilare sull'esecuzione dei progetti approvati,
adottando i provvedimenti concessori ed autorizzatori necessari,
comprensivi della localizzazione dell'opera e, ove prevista,
della VIA istruita dal competente Ministero. Si prescrive inoltre
che vengano affidati al Ministero delle infrastrutture e dei
trasporti compiti di istruttoria e di formulazione di proposte e
quello di assicurare il supporto necessario per l'attività del
CIPE, eventualmente tramite un'apposita struttura tecnica di
advisor e di commissari straordinari [lettera c)].
La delega prosegue autorizzando la
modificazione della disciplina in materia di conferenza di
servizi e dettando i criteri ispiratori per il suo funzionamento
[lettera d)].
Vengono quindi individuati i modelli di
affidamento e di aggiudicazione concernenti la realizzazione
delle opere di cui al comma 1, e prefigurata la cornice della
rispettiva disciplina, anche in deroga alla legge n. 109 del
1994, ma si impone al Governo il rispetto della normativa
comunitaria.
Si prevede inoltre che il legislatore
delegato affidi la realizzazione delle infrastrutture strategiche
ad un unico soggetto contraente generale o concessionario
[lettera e)] e si dettano i criteri che devono presiedere alla
disciplina dell'affidamento a contraente generale, con
riferimento all'art. 1 della direttiva 93/37/CEE [lettera f)].
Quanto poi al soggetto aggiudicatore, si
stabilisce l'obbligo, nel caso in cui l'opera sia realizzata
prevalentemente con fondi pubblici, di rispettare la normativa
europea in tema di evidenza pubblica e di scelta dei fornitori di
beni o servizi, "ma con soggezione ad un regime derogatorio
rispetto alla citata legge n. 109 del 1994 per tutti gli aspetti
di essa non aventi necessaria rilevanza comunitaria"
[lettera g)]. Al tempo stesso si autorizza, nel rispetto della
normativa comunitaria ed al fine di favorire il contenimento dei
tempi e la massima flessibilità degli strumenti giuridici,
l'introduzione di specifiche deroghe alla vigente disciplina in
materia di aggiudicazione di lavori pubblici e di realizzazione
degli stessi, indicando i criteri per regolamentare l'attività
del contraente generale e la costituzione di società di progetto
[lettera h)].
La delega investe ancora i profili
concernenti l'individuazione di misure adeguate per valutare il
regolare assolvimento degli obblighi assunti dal contraente
generale [lettera i)], la previsione, nel caso di concessione di
opera pubblica unita a gestione della stessa, di appositi
meccanismi di corresponsione del prezzo al concessionario,
nonché di fissazione della durata della concessione medesima
[lettera l)], con il rispetto dei relativi piani finanziari
[lettera m)].
La delega detta criteri anche in ordine alle
forme di tutela risarcitoria susseguente alla stipula dei
contratti di progettazione, appalto, concessione o affidamento a
contraente generale, prescrivendo che debba essere esclusa la
reintegrazione in forma specifica e ristretta la tutela
cautelare, per tutti gli interessi patrimoniali, "al
pagamento di una provvisionale" [lettera n)]. Infine si
stabilisce che il Governo debba prevedere, per le procedure di
collaudo delle opere, "termini perentori che consentano, ove
richiesto da specifiche esigenze tecniche, il ricorso anche a
strutture tecniche esterne di supporto alle commissioni di
collaudo" [lettera o)].
Si è dunque in presenza di una disciplina
particolarmente complessa che insiste su una pluralità di
materie, tra loro intrecciate, ascrivibili non solo alla potestà
legislativa concorrente ma anche a quella esclusiva dello Stato
(ad esempio la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema). In un
quadro normativo siffatto, le censure mosse dalle ricorrenti non
raggiungono il livello di specificità che si richiede ai fini di
uno scrutinio di merito (in tal senso v. sentenza n. 384 del
1999), poiché nei motivi di ricorso non vi è neppure una
sintetica esposizione delle ragioni per cui le disposizioni
contenute nel comma 2 denunciato, singolarmente considerate,
determinino una lesione delle attribuzioni regionali.
6. -Sono invece sufficientemente
circostanziate le questioni che le Regioni Umbria ed
Emilia-Romagna sollevano sulle lettere g) ed n), del comma 2,
sostenendone il contrasto con il "diritto europeo". In
particolare la lettera g), nella parte in cui circoscrive
l'obbligo per il soggetto aggiudicatore di rispettare la
normativa europea in tema di evidenza pubblica solo "nel
caso in cui l'opera sia realizzata prevalentemente con fondi
pubblici", violerebbe la direttiva 93/37/CEE, alla quale non
sarebbe conforme neppure nel caso del ricorso all'istituto della
concessione di lavori pubblici (art. 3 § l) o all'affidamento ad
unico soggetto contraente generale.
La questione deve essere scrutinata nel
merito, nel senso della non fondatezza, a prescindere dal
problema più generale, che investe ora l'interpretazione
dell'art. 117, primo comma, Cost., se ed entro quali limiti
l'ipotesi di contrasto di una norma interna con l'ordinamento
comunitario sia idonea a radicare la competenza del giudice delle
leggi.
Nei giudizi di impugnazione deve essere
tenuto fermo l'orientamento già espresso da questa Corte
(sentenze n. 85 del 1999, n. 94 del 1995 e n. 384 del 1994),
secondo il quale il valore costituzionale della certezza e della
chiarezza normativa deve fare aggio su ogni altra considerazione
soprattutto quando una esplicita clausola legislativa di
salvaguardia del diritto comunitario renda, come nella specie,
manifestamente insussistente il denunciato contrasto.
La lettera g) dell'art. 2, infatti, contiene
una delega al Governo perché siano adottate procedure di
aggiudicazione anche derogatorie rispetto alla legge n. 109 del
1994 quando non si tratti di opere realizzate prevalentemente con
fondi pubblici, ma non autorizza il Governo a violare il diritto
comunitario: al contrario si prevede che la deroga non debba
riguardare gli aspetti aventi necessaria rilevanza comunitaria.
Anche la disciplina dell'aggiudicazione in appalto di opere
realizzate con prevalenti fondi privati dovrà quindi rispettare
il diritto comunitario, qualunque ne sia il contenuto.
6.1. -La lettera n), seconda frase, a sua
volta, nella parte in cui restringe, per tutti gli
"interessi patrimoniali", la tutela cautelare al
"pagamento di una provvisionale", disattenderebbe la
direttiva 89/665/CEE (c.d. direttiva ricorsi), giacché
ridurrebbe "le possibilità di tutela piena per i
concorrenti che lamentino violazioni delle norme comunitarie in
materia di appalti".
Anche in questo caso si può prescindere dal
problema appena richiamato dei rapporti tra il diritto
comunitario e il diritto interno e dei limiti entro i quali di
questi rapporti possa conoscere la Corte costituzionale. La
questione è infatti inammissibile per difetto di interesse sotto
un duplice profilo: in primo luogo, essa evoca un contrasto col
diritto comunitario senza però dedurre l'esistenza di una
lesione delle attribuzioni regionali; inoltre la disposizione
denunciata investe la tutela giurisdizionale di terzi e non
riguarda quindi materie di competenza legislativa delle Regioni.
6.2. -La Regione Toscana denuncia infine la
lettera c) del medesimo comma 2, come sostituito dall'art. 13,
comma 5, della legge n. 166 del 2002, deducendo il contrasto con
gli artt. 117 e 118 Cost. Essa non garantirebbe il rispetto delle
attribuzioni delle Regioni, relegate ad un ruolo meramente
consultivo nell'approvazione dei progetti, demandata al CIPE,
integrato dai Presidenti delle Regioni interessate. Inoltre la
ricorrente, premesso che il comma 3 dell'art. 13, nel sostituire
il comma 1 dell'art. 1 della legge n. 443, dispone che anche le
strutture concernenti la nautica da diporto possono essere
inserite nel programma delle infrastrutture strategiche, rileva
che la previsione secondo cui la valutazione di impatto
ambientale sulle stesse debba essere effettuata dal Ministro
competente e non dalle Regioni violerebbe le attribuzioni di
queste ultime in materia di porti e valorizzazione dei beni
ambientali.
La questione non è fondata.
Contrariamente a quanto dedotto dalla
ricorrente, la disposizione impugnata, nell'attribuire al CIPE,
integrato dai Presidenti delle Regioni e delle Province autonome
interessate, il compito di approvare i progetti preliminari e
definitivi delle opere individuate nel programma di cui al comma
1, non circoscrive affatto il ruolo delle Regioni (o delle
Province autonome) a quello meramente consultivo, giacché
queste, attraverso i propri rappresentanti, sono a pieno titolo
componenti dell'organo e partecipano direttamente alla formazione
della sua volontà deliberativa, potendo quindi far valere
efficacemente il proprio punto di vista. Occorre inoltre
considerare che l'approvazione dei progetti deve essere
comprensiva anche della localizzazione dell'opera, sulla quale,
come già per la relativa individuazione, ai sensi del comma 1
dell'art. 1, è prevista l'intesa con la Regione o la Provincia
autonoma interessata [lettera b) del medesimo comma 2].
Né infine può dirsi che la disposizione
denunciata, come sostenuto dalla ricorrente, affidi al Ministro
competente l'effettuazione della valutazione di impatto
ambientale sulle opere inserite nel programma, considerato che
dalla piana lettura della norma risulta che una siffatta
valutazione è affidata al CIPE in composizione allargata ai
rappresentanti regionali e provinciali, mentre al Ministro è
lasciata unicamente la relativa fase istruttoria.
7. -E' fondata la questione di legittimità
costituzionale sollevata da tutte le ricorrenti che
investe l'art. 1, comma 3, della legge n. 443, nella parte in cui
autorizza il Governo a integrare e modificare il regolamento di
cui al d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, per renderlo conforme a
quest'ultima legge e ai decreti legislativi di cui al comma 2.
Che ai regolamenti governativi adottati in
delegificazione fosse inibito disciplinare materie di competenza
regionale era già stato affermato da questa Corte avendo
riguardo al quadro costituzionale anteriore all'entrata in vigore
della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione.
Nelle sentenze n. 333 e n. 482 del 1995 e nella più recente
sentenza n. 302 del 2003 l'argomento su cui è incentrata la
ratio decidendi è che lo strumento della delegificazione non
può operare in presenza di fonti tra le quali non vi siano
rapporti di gerarchia, ma di separazione di competenze. Solo la
diretta incompatibilità delle norme regionali con sopravvenuti
principî o norme fondamentali della legge statale può infatti
determinare l'abrogazione delle prime. La ragione giustificativa
di tale orientamento si è, se possibile, rafforzata con la nuova
formulazione dell'art. 117, sesto comma, Cost., secondo il quale
la potestà regolamentare è dello Stato, salva delega alle
Regioni, nelle materie di legislazione esclusiva, mentre in ogni
altra materia è delle Regioni. In un riparto così rigidamente
strutturato, alla fonte secondaria statale è inibita in radice
la possibilità di vincolare l'esercizio della potestà
legislativa regionale o di incidere su disposizioni regionali
preesistenti (sentenza n. 22 del 2003); e neppure i principî di
sussidiarietà e adeguatezza possono conferire ai regolamenti
statali una capacità che è estranea al loro valore, quella
cioè di modificare gli ordinamenti regionali a livello primario.
Quei principî, lo si è già rilevato, non privano di contenuto
precettivo l'art. 117 Cost., pur se, alle condizioni e nei casi
sopra evidenziati, introducono in esso elementi di dinamicità
intesi ad attenuare la rigidità nel riparto di funzioni
legislative ivi delineato. Non può quindi essere loro
riconosciuta l'attitudine a vanificare la collocazione
sistematica delle fonti conferendo primarietà ad atti che
possiedono lo statuto giuridico di fonti secondarie e a degradare
le fonti regionali a fonti subordinate ai regolamenti statali o
comunque a questi condizionate. Se quindi, come già chiarito,
alla legge statale è consentita l'organizzazione e la disciplina
delle funzioni amministrative assunte in sussidiarietà, va
precisato che la legge stessa non può spogliarsi della funzione
regolativa affidandola a fonti subordinate, neppure
predeterminando i principî che orientino l'esercizio della
potestà regolamentare, circoscrivendone la discrezionalità.
8. -E' fondata pure la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 3-bis, della legge
n. 443 del 2001, introdotto dall'art. 13, comma 6, della legge n.
166 del 2002, proposta dalla Regione Toscana lamentando la
violazione degli artt. 117 e 118 Cost., per il fatto che alle
Regioni sarebbe stato riservato un ruolo meramente consultivo
nella fase di approvazione dei progetti definitivi delle opere
individuate nel programma governativo.
La disposizione denunciata consente che tale
approvazione, in alternativa alle procedure di cui al comma 2,
avvenga con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
Per questa procedura alternativa è previsto che il decreto del
Presidente del Consiglio sia adottato previa deliberazione del
CIPE integrato dai Presidenti delle Regioni o delle Province
autonome interessate, sentita la Conferenza unificata e previo
parere delle competenti commissioni parlamentari.
Dalla degradazione della posizione del CIPE
da organo di amministrazione attiva (nel procedimento ordinario)
ad organo che svolge funzioni preparatorie (nel procedimento
"alternativo") discende che la partecipazione in esso
delle Regioni interessate non costituisce più una garanzia
sufficiente, tanto più se si considera che non è previsto, nel
procedimento alternativo, alcun ruolo delle Regioni interessate
nella fase preordinata al superamento del loro eventuale
dissenso.
9. -Tutte le Regioni impugnano il comma 4
dell'art. 1, in riferimento all'art. 117 e, limitatamente al
ricorso della Regione Marche, anche agli artt. 118 e 119 Cost.
La disposizione contiene una delega al
Governo ad emanare, nel rispetto dei principî e dei criteri
direttivi di cui al comma 2, previo parere favorevole del CIPE,
integrato dai Presidenti delle Regioni interessate, sentite la
Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28
agosto 1997, n. 281 e le competenti commissioni parlamentari, uno
o più decreti legislativi recanti l'approvazione definitiva di
specifici progetti di infrastrutture strategiche individuate
secondo quanto previsto al comma 1.
Le impugnazioni delle ricorrenti sono svolte
molto succintamente e si limitano ad operare un mero rinvio agli
argomenti sviluppati in relazione a disposizioni di diverso
contenuto senza ulteriori precisazioni, se non quella che si
verserebbe in materia di potestà legislativa residuale sulla
quale lo Stato sarebbe radicalmente privo di competenza. Anche il
denunciato comma 4 dell'art. 1, come le precedenti disposizioni,
riguarda però materie di competenza concorrente o esclusiva
dello Stato e non investe potestà residuali. Né tra queste
ultime, per le ragioni già esposte, possono ritenersi compresi i
lavori pubblici. Le impugnazioni vanno pertanto rigettate.
10. -Il motivo di ricorso proposto dalla
Regione Marche contro l'art. 1, comma 5, della legge n. 443 del
2001, a mente del quale, ai fini della presente legge, "sono
fatte salve le competenze delle Regioni a statuto speciale e
delle Province autonome", non ha una sua autonoma
consistenza ma deve essere interpretato come argomento teso a
corroborare le censure svolte negli altri motivi di ricorso,
sulle quali si è appena deciso.
11. -Le Regioni Toscana, Umbria ed
Emilia-Romagna denunciano i commi da 6 a 12 e il comma 14
dell'art. 1, che disciplinano, nel loro complesso, il regime
degli interventi edilizi con disposizioni il cui contenuto
conviene subito illustrare.
Il comma 6 prevede che, per determinati
interventi, in alternativa a concessioni ed autorizzazioni
edilizie, l'interessato possa avvalersi della denuncia di inizio
attività (DIA). L'alternativa riguarda in particolare: a) gli
interventi edilizi minori, di cui all'art. 4, comma 7, del
decreto-legge n. 398 del 1993 (convertito nella legge n. 493 del
1993); b) le ristrutturazioni edilizie, comprensive della
demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma; c)
gli interventi ora sottoposti a concessione, se sono
specificamente disciplinati da piani attuativi che contengano
precise disposizioni plano-volumetriche, tipologiche, formali e
costruttive, la cui sussistenza sia stata esplicitamente
dichiarata dal consiglio comunale in sede di approvazione degli
stessi piani o di ricognizione di quelli vigenti; d) i sopralzi,
le addizioni, gli ampliamenti e le nuove edificazioni in diretta
esecuzione di idonei strumenti urbanistici diversi da quelli
indicati alla lettera c), ma recanti analoghe previsioni di
dettaglio. Rimane ferma la disciplina previgente quanto
all'obbligo di versare il contributo commisurato agli oneri di
urbanizzazione ed al costo di costruzione (comma 7).
Il comma 8 stabilisce che la tutela
storico-artistica o paesaggistico-ambientale per la realizzazione
degli interventi di cui al comma 6 sia subordinata al preventivo
rilascio del parere o dell'autorizzazione richiesti dalle
disposizioni di legge vigenti e in particolare dal testo unico
delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e
ambientali, di cui al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n.
490.
Il comma 9 e il comma 10 contengono la
disciplina relativa al caso in cui le opere da realizzare
riguardino immobili soggetti a un vincolo la cui tutela competa,
anche in via di delega, all'amministrazione comunale (comma 9)
ovvero soggetti a un vincolo la cui tutela spetti ad
amministrazioni diverse da quella comunale (comma 10). Nel primo
caso è previsto che il termine per la presentazione della
denuncia di inizio attività, di cui all'art. 4, comma 11, del
decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 398, decorre dal rilascio del
relativo atto di assenso. Nel secondo caso si prevede che, ove il
parere favorevole del soggetto preposto alla tutela non sia
allegato alla denuncia, il competente ufficio comunale convoca
una conferenza di servizi ai sensi degli artt. 14, 14-bis, 14-ter
e 14-quater della legge 7 agosto 1990, n. 241, e il termine di
venti giorni per la presentazione della denuncia di inizio
dell'attività decorre dall'esito della conferenza. Tanto nel
caso in cui l'atto dell'autorità comunale preposta alla tutela
del vincolo non sia favorevole, quanto nel caso di esito non
favorevole della conferenza, la denuncia di inizio attività è
priva di effetti.
Il comma 11, a sua volta, abroga il comma 8
dell'art. 4 del decreto-legge n. 398 del 1993, il quale prevedeva
la possibilità di procedere ad attività edilizie minori sulla
base di denuncia inizio attività a condizione che gli immobili
non fossero assoggettati alle disposizioni di cui alla legge n.
1089 del 1939, alla legge n. 1497 del 1939, alla legge n. 394 del
1991, ovvero a disposizioni immediatamente operative dei piani
aventi la valenza di cui all'art. 1-bis del decreto-legge n. 312
del 1985, convertito nella legge n. 431 del 1985, o dalla legge
n. 183 del 1989, o che non fossero comunque assoggettati dagli
strumenti urbanistici a discipline espressamente volte alla
tutela delle loro caratteristiche paesaggistiche, ambientali,
storico-archeologiche, storico artistiche, storico
architettoniche e storico testimoniali.
In base al comma 12 le disposizioni di cui
al comma 6 "si applicano nelle Regioni a statuto ordinario a
decorrere dal novantesimo giorno dalla data di entrata in vigore
della presente legge" e "le Regioni a statuto
ordinario, con legge, possono individuare quali degli interventi
indicati al comma 6 sono assoggettati a concessione edilizia o ad
autorizzazione edilizia". Con il comma 14 viene delegato il
Governo ad emanare, entro il 30 giugno 2003, un decreto
legislativo volto a introdurre nel testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui all'art.
7 della legge n. 50 del 1999, e successive modificazioni, le
modifiche strettamente necessarie per adeguarlo alle disposizioni
di cui ai commi da 6 a 13 (quest'ultima disposizione, non
denunciata, fa salva la potestà legislativa esclusiva delle
Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e
di Bolzano).
E' importante rilevare che il comma 12 è
stato modificato dall'art. 13, comma 7, della legge n. 166 del
2002, il quale ha aggiunto alla versione originaria le seguenti
disposizioni: "salvo che le leggi regionali pubblicate prima
della data di entrata in vigore della presente legge siano già
conformi a quanto previsto dalle lettere a), b), c) e d) del
medesimo comma 6, anche disponendo eventuali categorie aggiuntive
e differenti presupposti urbanistici. Le Regioni a statuto
ordinario possono ampliare o ridurre l'ambito applicativo delle
disposizioni di cui al periodo precedente".
Tutte le disposizioni il cui contenuto si è
ora esposto hanno portata generale e prescindono dalla disciplina
procedimentale concernente le infrastrutture e gli insediamenti
produttivi strategici e di preminente interesse nazionale, della
quale non costituiscono ulteriore svolgimento.
Contro di esse si orientano le censure delle
ricorrenti, le quali assumono che lo Stato avrebbe violato la
competenza residuale delle Regioni in materia edilizia e,
subordinatamente, avrebbe leso, con una disciplina di dettaglio,
la competenza regionale concorrente in materia di governo del
territorio.
Nelle memorie presentate in prossimità
dell'udienza, la Regione Toscana, in considerazione della
sopravvenuta modifica del comma 12, ha espressamente dichiarato
di rinunciare ai motivi di ricorso concernenti i commi da 6 a 12
ed il comma 14. Insistono invece nelle censure le Regioni Umbria
ed Emilia-Romagna, sicché questa Corte deve pronunciarsi su di
esse.
11.1. -E' innanzitutto da escludersi che la
materia regolata dalle disposizioni censurate sia oggi da
ricondurre alle competenze residuali delle Regioni, ai sensi
dell'art. 117, quarto comma, Cost. La materia dei titoli
abilitativi ad edificare appartiene storicamente all'urbanistica
che, in base all'art. 117 Cost., nel testo previgente, formava
oggetto di competenza concorrente. La parola
"urbanistica" non compare nel nuovo testo dell'art.
117, ma ciò non autorizza a ritenere che la relativa materia non
sia più ricompresa nell'elenco del terzo comma: essa fa parte
del "governo del territorio". Se si considera che altre
materie o funzioni di competenza concorrente, quali porti e
aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione,
produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia,
sono specificamente individuati nello stesso terzo comma
dell'art. 117 Cost. e non rientrano quindi nel "governo del
territorio", appare del tutto implausibile che dalla
competenza statale di principio su questa materia siano stati
estromessi aspetti così rilevanti, quali quelli connessi
all'urbanistica, e che il "governo del territorio" sia
stato ridotto a poco più di un guscio vuoto.
11.2. -Chiarito che si versa in materia di
competenza concorrente, resta da chiedersi se nelle disposizioni
denunciate vi siano aspetti eccedenti la formulazione di un
principio di legislazione. Un accurato esame della disciplina
poc'anzi richiamata conduce a una risposta negativa. Non vi è
nulla in essa che non sia riconducibile ad una enunciazione di
principio e che possa essere qualificato normativa di dettaglio.
Giova premettere che i principî della
legislazione statale in materia di titoli abilitativi per gli
interventi edilizi non sono rimasti, nel tempo, immutati, ma
hanno subito sensibili evoluzioni.
Dal generale e indifferenziato onere della
concessione edilizia (legge n. 10 del 1977) si è passati
all'autorizzazione per gli interventi di manutenzione
straordinaria e fra questi al silenzio-assenso quando non siano
coinvolti edifici soggetti a disciplina vincolistica (legge n.
457 del 1978). Il silenzio-assenso è stato successivamente
ampliato ed esteso e fatto oggetto di specifiche previsioni
procedurali (legge n. 94 del 1982, che ha convertito il
decreto-legge n. 9 del 1982). Alle Regioni è stato poi
attribuito (legge n. 47 del 1985) il potere di semplificare le
procedure ed accelerare l'esame delle domande di concessione e di
autorizzazione edilizia e di consentire, per le sole opere
interne agli edifici, l'asseverazione del rispetto delle norme di
sicurezza e delle norme igienico-sanitarie vigenti, secondo un
modello che, in qualche modo, anticipa l'istituto della denuncia
di inizio attività. Ed ancora (decreto-legge n. 398 del 1993,
convertito nella legge n. 493 del 1993) sono state nuovamente
regolate le procedure per il rilascio della concessione edilizia,
eliminando il silenzio-assenso e prevedendo in sua vece la nomina
di un commissario regionale ad acta con il compito di adottare il
provvedimento nei casi di inerzia del Comune. Si è giunti quindi
alla disciplina sostanziale e procedurale della denuncia di
inizio attività (DIA) per taluni enumerati interventi edilizi,
imponendo alle Regioni l'obbligo di adeguare la propria
legislazione ai nuovi principî (legge n. 662 del 1996).
E' dunque lungo questa direttrice, in cui lo
Stato ha mantenuto la disciplina dei titoli abilitativi come
appartenente alla potestà di dettare i principî della materia,
che si muovono le disposizioni impugnate. Le fattispecie nelle
quali, in alternativa alle concessioni o autorizzazioni edilizie,
si può procedere alla realizzazione delle opere con denuncia di
inizio attività a scelta dell'interessato integrano il proprium
del nuovo principio dell'urbanistica: si tratta infatti, come
agevolmente si evince dal comma 6, di interventi edilizi di non
rilevante entità o, comunque, di attività che si conformano a
dettagliate previsioni degli strumenti urbanistici. In
definitiva, le norme impugnate perseguono il fine, che
costituisce un principio dell'urbanistica, che la legislazione
regionale e le funzioni amministrative in materia non risultino
inutilmente gravose per gli amministrati e siano dirette a
semplificare le procedure e ad evitare la duplicazione di
valutazioni sostanzialmente già effettuate dalla pubblica
amministrazione.
Né può dirsi che le modificazioni
introdotte nell'ultimo periodo del comma 12 dell'art. 1, e cioè
l'attribuzione alle Regioni del potere di ampliare o ridurre le
categorie di opere per le quali è prevista in principio la
dichiarazione di inizio attività, abbiano comportato, nella
disciplina contenuta nel comma 6, un mutamento di natura e
l'abbiano trasformata in normativa di dettaglio. Vi è solo una
maggiore flessibilità del principio della legislazione statale
quanto alle categorie di opere a cui la denuncia di inizio
attività può applicarsi. Resta come principio la necessaria
compresenza nella legislazione di titoli abilitativi preventivi
ed espressi (la concessione o l'autorizzazione, ed oggi, nel
nuovo testo unico n. 380 del 2001, il permesso di costruire) e
taciti, quale è la DIA, considerata procedura di semplificazione
che non può mancare, libero il legislatore regionale di
ampliarne o ridurne l'ambito applicativo.
La materia del contendere in relazione ai
commi 6 e 12 non è dunque cessata, come invece vorrebbe
l'Avvocatura generale dello Stato, ma le censure che le Regioni
Umbria ed Emilia-Romagna hanno tenute ferme nei confronti di
queste disposizioni non possono essere accolte, giacché, anche
dopo le sopravvenute modificazioni del comma 12, le disposizioni
impugnate si limitano a porre principî e non costituiscono norme
di dettaglio.
11.3. -Del pari va respinta la censura
relativa al comma 7, il quale, senza avere il contenuto di norma
di dettaglio, si limita a reiterare l'obbligo dell'interessato di
versare gli oneri di urbanizzazione commisurati al costo di
costruzione anche quando il titolo abilitativo consista nella
denuncia di inizio attività. L'onerosità del titolo abilitativo
riguarda infatti un principio della disciplina un tempo
urbanistica e oggi ricompresa fra le funzioni legislative
concorrenti sotto la rubrica "governo del territorio".
11.4. -Non sono fondate le questioni
concernenti i commi da 8 a 11 dell'art. 1, per le quali sono
svolti motivi di censura analoghi a quelli appena esaminati.
Seppure, infatti, non si fosse in presenza
di una legislazione statale rientrante nell'art. 117, secondo
comma, lettera s), Cost., che attribuisce allo Stato la
competenza esclusiva in materia di tutela dell'ambiente,
ecosistema e beni culturali, le disposizioni censurate non
eccederebbero l'ambito della potestà legislativa statale nelle
materie di competenza concorrente, e in particolare nella materia
"governo del territorio". In effetti esse, lungi dal
porre una disciplina di dettaglio, costituiscono espressione di
un principio della legislazione statale diverso da quello
previgente, contenuto nell'art. 4, comma 8, del decreto-legge n.
398 del 1993 (che viene espressamente abrogato), secondo il quale
può procedersi con denuncia di inizio attività anche alla
realizzazione degli interventi edilizi di cui al comma 6
dell'art. 1 della legge n. 443 del 2001 che riguardino aree o
immobili sottoposti a vincolo. Il legislatore, stabilito tale
nuovo principio, ha coordinato l'istituto della denuncia di
inizio attività con le vigenti disposizioni che pongono vincoli,
a tal fine ribadendo la indispensabilità che l'amministrazione
preposta alla loro tutela esprima il proprio parere, la cui
assenza priva di effetti la denuncia di inizio attività. In
definitiva le disposizioni censurate si limitano a far salva la
previgente normativa vincolistica, senza alterare il preesistente
quadro delle relative competenze, anche delegate alle
amministrazioni comunali, e senza attrarre allo Stato ulteriori
competenze. Le attribuzioni regionali non sono pertanto lese.
11.5. -Le considerazioni svolte nei
precedenti paragrafi inducono a ritenere priva di fondamento la
censura che le ricorrenti muovono al comma 14, contenente la
delega al Governo ad emanare un decreto legislativo volto ad
introdurre nel testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia edilizia di cui all'art. 7 della legge 8
marzo 1999, n. 50 le modifiche strettamente necessarie per
adeguarlo alle disposizioni dei commi da 6 a 13. Si sostiene
dalle ricorrenti che la disposizione sia illegittima in quanto
sarebbe "il concetto stesso di testo unico che ripugna al
riparto costituzionale delle competenze" e ciò non soltanto
per le materie residuali regionali, ma anche per le materie di
competenza concorrente, nelle quali sulle Regioni grava soltanto
il vincolo di conformarsi ai principî della legislazione
statale.
Le disposizioni impugnate lo si è
appena visto non sono tuttavia ascrivibili a competenze
residuali e hanno il contenuto di principî che le Regioni
possono svolgere con proprie norme legislative. Inserire quei
principî in un testo unico già vigente è dunque operazione che
non lede alcuna attribuzione regionale.
12. -La Regione Toscana ha impugnato anche i
commi 1, 4 e 11 dell'art. 13 della legge n. 166 del 2002.
12.1. -Il comma 4 inserisce, dopo il comma 1
dell'art. 1 della legge n. 443 del 2001, il "comma
1-bis", il quale detta le indicazioni che deve contenere il
programma delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi
strategici e di preminente interesse nazionale da inserire nel
documento di programmazione economico-finanziaria. La ricorrente
assume che la disposizione violerebbe gli artt. 117 e 118, primo
comma, Cost. per le stesse identiche ragioni già poste a
fondamento della censura svolta avverso il comma 3 dell'art. 13
della legge n. 166 del 2002, che ha sostituito il comma 1 della
citata legge n. 443.
Il motivo di ricorso è da respingersi sulla
base delle stesse argomentazioni che hanno condotto a ritenere
infondate le censure avverso il menzionato comma 1 dell'art. 1
nella versione vigente: la doglianza in esame non assume infatti
alcuna autonomia rispetto a quella già scrutinata, con la quale,
del resto, è prospettata congiuntamente.
12.2. -Nei commi 1 e 11 dell'art. 13 della
legge n. 166 sono individuati ed autorizzati i limiti di impegno
di spesa quindicennali per la progettazione e realizzazione delle
opere strategiche e di preminente interesse nazionale
"individuate in apposito programma approvato" dal CIPE,
prevedendo, tra l'altro, che le risorse autorizzate
"integrano i finanziamenti pubblici, comunitari e privati
allo scopo disponibili". Il successivo comma 11 dispone i
necessari stanziamenti di bilancio.
In ordine a tali disposizioni la Regione
Toscana sostiene che esse, nel prevedere specifici stanziamenti
per la progettazione e la realizzazione delle opere strategiche
approvate dal CIPE, contrasterebbero sia con gli artt. 117 e 118
Cost., in quanto si riferirebbero al programma predisposto dal
CIPE che si assume elaborato "in spregio alle competenze
regionali"; sia con l'art. 119 Cost., perché inciderebbero
sull'autonomia finanziaria delle Regioni garantita dalla
Costituzione anche in relazione al reperimento delle risorse per
la realizzazione delle infrastrutture di competenza regionale.
La censura va respinta per considerazioni
analoghe a quelle già svolte nel punto 4.1. della presente
pronuncia: in assenza dell'intesa con la Regione interessata i
programmi sono inefficaci. Ne consegue che anche questa
disposizione deve essere interpretata nel senso che i
finanziamenti concernenti le infrastrutture e gli insediamenti
produttivi individuati nel programma approvato dal CIPE potranno
essere utilizzati per la realizzazione di quelle sole opere che
siano state individuate mediante intesa tra Stato e Regioni o
Province autonome interessate.
Quanto all'evocato parametro dell'art. 119
Cost., è sufficiente osservare che si tratta di finanziamenti
statali individuati e stanziati in vista della realizzazione di
un programma di opere che lo Stato assume, nei termini già
chiariti, in base ai principî di sussidiarietà ed adeguatezza
anche in considerazione degli oneri finanziari che esso comporta
e non è pensabile che lo Stato possa esimersi dal reperire le
risorse. Non è pertanto apprezzabile alcuna lesione
dell'autonomia finanziaria delle Regioni.
13. -Si tratta ora di esaminare i ricorsi
proposti dalle Regioni Toscana e Marche e dalle Province autonome
di Bolzano e di Trento, in riferimento agli artt. 76, 117, 118 e
120 della Costituzione, nonché agli artt. 8, primo comma, numeri
5, 6, 9, 11, 14, 16, 17, 18, 19, 21, 22 e 24; 9, primo comma,
numeri 8, 9, e 10; 16 dello statuto speciale per il Trentino-Alto
Adige, e relative norme di attuazione, avverso numerosi articoli
del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, attuativo della
delega contenuta nell'art. 1, comma 2, della legge 21 dicembre
2001, n. 443.
Specificamente la Toscana impugna gli artt.
1-11; 13; 15 e 16, commi 1, 2, 3, 6 e 7; 17-20; la Provincia
autonoma di Bolzano gli artt. 1, commi 1 e 7; 2, commi 1, 2, 3,
4, 5 e 7; 3, commi 4, 5, 6 e 9; 13, comma 5; 15; la Regione
Marche gli artt. 1-11; 13 e 15-20; la Provincia autonoma di
Trento gli artt. 1, 2, 3, 4, 13 e 15.
14. -Il ricorso della Provincia autonoma di
Trento è stato depositato presso la cancelleria della Corte
costituzionale oltre il termine previsto dall'art. 32, terzo
comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87. La Provincia, con
apposita istanza, pur non disconoscendo il carattere perentorio
del termine per il deposito, ritiene che possa trovare
applicazione alla fattispecie la disciplina dell'errore
scusabile, che, per il processo costituzionale, non è
espressamente previsto. Si chiede pertanto di considerare
scusabile, e dunque tempestivo, il deposito effettuato dalla
Provincia autonoma il 5 novembre 2002. In subordine, la Provincia
sollecita questa Corte a sollevare dinanzi a se stessa la
questione di legittimità costituzionale degli artt. 31, terzo
comma, e 32, terzo comma, della legge n. 87 del 1953, nella parte
in cui precludono l'applicazione di tale istituto, per violazione
dell'art. 24, primo comma, Cost. e del principio di
ragionevolezza.
Entrambe le richieste non possono essere
accolte. Nei giudizi in via di azione va senz'altro esclusa
l'applicabilità della disciplina dell'errore scusabile, così
come è da escludersi che la Corte possa ritenere non
manifestamente infondata una questione di legittimità proprio su
quelle norme legislative che, regolando il processo
costituzionale, sono intese a conferire ad esso il massimo di
certezza e ad assicurare alle parti il corretto svolgimento del
giudizio.
Il ricorso della Provincia autonoma di
Trento deve essere pertanto dichiarato inammissibile.
15. -L'art. 1, comma 1, che regola la
progettazione, l'approvazione e realizzazione delle
infrastrutture strategiche e degli insediamenti produttivi di
preminente interesse nazionale, individuati dall'apposito
programma, è impugnato dalla Provincia autonoma di Bolzano.
Preliminarmente la ricorrente lamenta che la disposizione sarebbe
rivolta a salvaguardare unicamente le competenze riconosciutele
dallo statuto speciale e dalle norme di attuazione, senza alcun
riferimento alle nuove e maggiori competenze derivanti dagli
artt. 117 e 118, applicabili alle Regioni ad autonomia
differenziata in virtù della clausola di estensione contenuta
nell'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e
comunque che violerebbe l'art. 2 del decreto legislativo n. 266
del 1992. Tale disposizione definisce le condizioni
dell'adeguamento (sei mesi) della legislazione provinciale ai
principî della legislazione statale, tenendo ferma «l'immediata
applicabilità nel territorio regionale (
) degli atti
legislativi dello Stato nelle materie nelle quali alla Regione o
alla Provincia autonoma è attribuita delega di funzioni
statali».
La pretesa avanzata dalla Provincia di
Bolzano è quella di rimanere indenne dall'obbligo di
applicazione immediata nel proprio territorio della disciplina
contenuta nella disposizione impugnata. Un'applicazione
immediata, tuttavia, è esclusa dallo stesso art. 1, il quale,
per un verso, fa salve le competenze delle Province autonome e
delle Regioni a statuto speciale; per altro verso subordina
l'applicazione della disciplina a una previa intesa, alla quale
la stessa Provincia autonoma, proprio perché titolare di
competenze statutarie che le sono fatte salve, può sottrarsi. In
questi termini la censura è infondata.
Anche competenze ulteriori rispetto a quelle
statutariamente previste, che possano derivare alla Provincia di
Bolzano dalla clausola contenuta nell'art. 10 della legge
costituzionale n. 3 del 2001, soggiacciono ai medesimi limiti
propri delle funzioni corrispondenti delle Regioni ordinarie; e
se per queste è l'intesa, quale limite immanente all'operare del
principio di sussidiarietà, ad assicurare la salvaguardia delle
relative attribuzioni, un identico modulo collaborativo deve
agire anche nei confronti della Provincia di Bolzano.
Per le stesse ragioni va respinta la censura
svolta dalla Provincia di Bolzano, sempre in riferimento al
parametro dell'art. 2 del decreto legislativo n. 266 del 1992,
nei confronti dell'art. 13, comma 5, il quale stabilisce che
l'approvazione del CIPE, adottata a maggioranza dei componenti
con l'intesa dei presidenti delle Regioni, sostituisce, anche a
fini urbanistici ed edilizi, ogni altra autorizzazione,
approvazione, parere e nulla osta comunque denominato,
costituisce dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità
e urgenza delle opere e consente la realizzazione e l'esercizio
delle infrastrutture strategiche per l'approvvigionamento
energetico e di tutte le attività previste nel progetto
approvato.
16. -Le Regioni Marche e Toscana impugnano
l'art. 1, comma 5, secondo il quale le Regioni, le province, i
comuni, le città metropolitane applicano, per le proprie
attività contrattuali ed organizzative relative alla
realizzazione delle infrastrutture e diverse dall'approvazione
dei progetti (comma 2) e dalla aggiudicazione delle
infrastrutture (comma 3), le norme del presente decreto
legislativo «fino alla entrata in vigore di una diversa norma
regionale, (
) per tutte le materie di legislazione
concorrente». Si denuncia la lesione dell'art. 117 della
Costituzione poiché in materie di competenza concorrente sarebbe
posta una normativa cedevole di dettaglio.
Non può negarsi che l'inversione della
tecnica di riparto delle potestà legislative e l'enumerazione
tassativa delle competenze dello Stato dovrebbe portare ad
escludere la possibilità di dettare norme suppletive statali in
materie di legislazione concorrente, e tuttavia una simile
lettura dell'art. 117 svaluterebbe la portata precettiva
dell'art. 118, comma primo, che consente l'attrazione allo Stato,
per sussidiarietà e adeguatezza, delle funzioni amministrative e
delle correlative funzioni legislative, come si è già avuto
modo di precisare. La disciplina statale di dettaglio a carattere
suppletivo determina una temporanea compressione della competenza
legislativa regionale che deve ritenersi non irragionevole,
finalizzata com'è ad assicurare l'immediato svolgersi di
funzioni amministrative che lo Stato ha attratto per soddisfare
esigenze unitarie e che non possono essere esposte al rischio
della ineffettività.
Del resto il principio di cedevolezza
affermato dall'impugnato art. 1, comma 5, opera a condizione che
tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome interessate sia
stata raggiunta l'intesa di cui al comma 1, nella quale si siano
concordemente qualificate le opere in cui l'interesse regionale
concorre con il preminente interesse nazionale e si sia stabilito
in che termini e secondo quali modalità le Regioni e le Province
autonome partecipano alle attività di progettazione, affidamento
dei lavori e monitoraggio. Si aggiunga che, a ulteriore
rafforzamento delle garanzie poste a favore delle Regioni,
l'intesa non può essere in contrasto con le normative vigenti,
anche regionali, o con le eventuali leggi regionali emanate allo
scopo.
17. -L'art. 1, comma 7, lettera e),
definisce opere per le quali l'interesse regionale concorre con
il preminente interesse nazionale «le infrastrutture (
)
non aventi carattere interregionale o internazionale per le quali
sia prevista, nelle intese generali quadro di cui al comma 1, una
particolare partecipazione delle Regioni o Province autonome alle
procedure attuative» e opere di carattere interregionale o
internazionale «le opere da realizzare sul territorio di più
Regioni o Stati, ovvero collegate funzionalmente ad una rete
interregionale o internazionale». La Regione Toscana lamenta la
violazione dell'art. 76 Cost., giacché la legge n. 443 del 2001
non autorizzerebbe il Governo a porre un regime derogatorio anche
per le opere di interesse regionale.
In realtà l'art. 1 del decreto legislativo
n. 190 fa riferimento a infrastrutture pubbliche e private e
insediamenti produttivi strategici e «di preminente interesse
nazionale» e non parla mai di opere di interesse regionale, ma
solo di opere nelle quali con il "preminente interesse
nazionale", che permane in posizione di prevalenza, concorre
l'interesse della Regione. Opere di interesse esclusivamente
regionale, in altri termini, non sono oggetto della disciplina
impugnata.
Non è pertanto ravvisabile nella
disposizione denunciata alcun eccesso di delega.
17.1. -La stessa Regione Toscana, la Regione
Marche e la Provincia di Bolzano assumono poi che l'art. 1 comma
7, lettera e), violerebbe gli artt. 117, commi terzo, quarto e
sesto, e 118 Cost., poiché la disposizione escluderebbe la
concorrenza dell'interesse regionale con il preminente interesse
nazionale in relazione ad opere aventi carattere interregionale o
internazionale, mentre il solo fatto della localizzazione di una
parte dell'opera sul territorio di una Regione implicherebbe il
coinvolgimento di un interesse regionale e la conseguente
legittimazione della Regione interessata all'esercizio nel
proprio territorio delle competenze legislative, regolamentari e
amministrative ad essa riconosciute dalla Costituzione.
Anche questa censura deve essere respinta.
Le ricorrenti muovono dalla erronea premessa
che per le opere di interesse interregionale sia esclusa ogni
forma di coinvolgimento delle Regioni interessate. Al contrario
deve essere chiarito che l'intesa generale di cui al primo comma
dell'art. 1 del decreto legislativo ha ad oggetto, fra l'altro,
la qualificazione delle opere e dunque la stessa classificazione
della infrastruttura come opera di interesse interregionale deve
ottenere l'assenso regionale.
Chiarito che il decreto legislativo n. 190
non autorizza una qualificazione unilaterale del livello di
interesse dell'opera e ribadito che anche la classificazione
della stessa deve formare oggetto di un'intesa, non può dirsi
scalfita la peculiare garanzia riconosciuta alla Provincia di
Bolzano dalle norme di attuazione dello statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige recate dal d.P.R. n. 381 del 1974, le quali
richiedono appunto un'intesa fra Ministro dei lavori pubblici e
Presidenti delle Province autonome di Trento e Bolzano per «i
piani pluriennali di viabilità e i piani triennali per la
gestione e l'incremento della rete stradale» (art. 19); e
stabiliscono che «gli interventi di spettanza dello Stato in
materia di viabilità, linee ferroviarie e aerodromi, anche se
realizzati a mezzo di aziende autonome, sono effettuati previa
intesa con la Provincia interessata» (art. 20).
18. -L'art. 2, comma 1, stabilisce che il
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti «promuove le
attività tecniche ed amministrative occorrenti ai fini della
sollecita progettazione ed approvazione delle infrastrutture e
degli insediamenti produttivi ed effettua, con la collaborazione
delle Regioni e delle Province autonome interessate con oneri a
proprio carico, le attività di supporto necessarie per la
vigilanza, da parte del CIPE, sulla realizzazione delle
infrastrutture».
Secondo la prospettazione della Provincia
autonoma di Bolzano questa disposizione violerebbe l'art. 16
dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, il quale pone
il principio del parallelismo tra funzioni legislative e
amministrative, nonché l'art. 4, comma 1, del decreto
legislativo n. 266 del 1992, il quale dispone che «nelle materie
di competenza propria della Regione o delle Province autonome la
legge non può attribuire agli organi statali funzioni
amministrative (
) diverse da quelle spettanti allo Stato
secondo lo statuto speciale e le norme di attuazione, salvi gli
interventi richiesti ai sensi dell'art. 22 dello statuto».
La ricorrente presuppone che alcune delle
materie su cui insistono i compiti tecnici e amministrativi
conferiti al Ministero sarebbero di competenza legislativa (e
quindi amministrativa) provinciale, ma omette di considerare che
tra gli oggetti riconducibili alla propria competenza rientrano
solo opere o lavori pubblici di interesse provinciale, ai quali
il decreto legislativo n. 190 non è applicabile. Quando invece
l'opera trascende l'ambito di interesse della Provincia, allora
si è al di fuori delle garanzie statutarie e le eventuali
ulteriori competenze normative che essa intendesse trarre
dall'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 in
relazione alle infrastrutture di cui al decreto legislativo
impugnato non potrebbero sottrarsi ai limiti che si fanno valere
nei confronti delle Regioni ordinarie, ossia, nella specie, alla
possibilità, per lo Stato, di far agire il principio di
sussidiarietà attraendo e regolando funzioni amministrative. Il
parallelismo invocato dalla ricorrente opera, pertanto,
unicamente nell'ambito provinciale e con riferimento alle
competenze statutarie, essendo superato dall'applicabilità del
principio di sussidiarietà per le competenze ulteriori.
18.1. -Per i motivi appena illustrati devono
essere respinte anche tutte le censure che la Provincia di
Bolzano prospetta, sempre sul parametro dell'art. 4, comma 1, del
decreto legislativo n. 266 del 1992, con argomentazioni analoghe
e che hanno ad oggetto gli artt. 1, commi 1 e 7; 2, commi 1, 2,
3, 4, 5, e 7; 3, commi 4, 5, 6, 9; 13, comma 5; e 15, i quali
prevedono procedimenti di approvazione che comportano
l'automatica variazione degli strumenti urbanistici, determinano
l'accertamento della compatibilità ambientale e sostituiscono
ogni altra autorizzazione, approvazione e parere.
19. -La Provincia autonoma di Bolzano
impugna l'art. 2, commi 2, 3, 4 e 5, i quali, nel riservare al
Ministero delle infrastrutture e trasporti la promozione
dell'attività di progettazione, direzione ed esecuzione delle
infrastrutture e il potere di assegnare le risorse integrative
necessarie alle attività progettuali, violerebbero l'art. 16
dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige e l'art. 4 del
decreto legislativo n. 266 del 1992. Quest'ultimo, nel terzo
comma, prevede che «fermo restando quanto disposto dallo statuto
speciale e dalle relative norme di attuazione, nelle materie di
competenza propria della Provincia, le amministrazioni statali,
comprese quelle autonome, e gli enti dipendenti dallo Stato non
possono disporre spese né concedere, direttamente o
indirettamente, finanziamenti o contributi per attività
nell'ambito del territorio regionale o provinciale". Tale
disposizione, secondo la ricorrente imporrebbe la diretta
assegnazione dei fondi alle Province autonome di Trento e Bolzano
e non ai soggetti aggiudicatori.
Il motivo di ricorso va respinto per ragioni
analoghe a quelle poc'anzi esposte, giacché alle Province
autonome non spetta in materia alcuna competenza statutaria, se
non con riguardo alle opere di interesse provinciale. Non si
applicano dunque i parametri che la ricorrente invoca.
20. -Le Regioni Toscana e Marche impugnano
l'art. 2, comma 5, il quale prevede che per la nomina di
commissari straordinari incaricati di seguire l'andamento delle
opere aventi carattere interregionale o internazionale debbano
essere sentiti i Presidenti delle Regioni interessate. Le
ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 117 e 118 Cost. e
del principio di leale collaborazione, che, a loro giudizio,
imporrebbe il coinvolgimento della Regione nella forma
dell'intesa.
La questione non è fondata.
La disposizione impugnata, infatti, prevede
una forma di vigilanza sull'esercizio di funzioni che, in quanto
assunte per sussidiarietà, sono qualificabili come statali, e
non vi è alcuna prescrizione costituzionale dalla quale possa
desumersi che il livello di collaborazione regionale debba
consistere in una vera e propria intesa, anziché, come è
previsto per le opere interregionali e internazionali, nella
audizione dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome
in sede di nomina del commissario straordinario.
21. -Le Regioni Toscana e Marche impugnano
l'art. 2, comma 7, nella parte in cui consente al Presidente del
Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delle
infrastrutture e trasporti, sentiti, per le infrastrutture di
competenza dei soggetti aggiudicatori regionali, i Presidenti
delle Regioni e delle Province autonome, di abilitare i
Commissari straordinari ad adottare, con poteri derogatori della
normativa vigente e con le modalità e i poteri di cui all'art.
13 del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con
modificazioni nella legge 23 maggio 1997, n. 135, i provvedimenti
e gli atti di qualsiasi natura necessari alla sollecita
progettazione, istruttoria, affidamento e realizzazione delle
infrastrutture e degli insediamenti produttivi, in sostituzione
dei soggetti competenti. Se ne denuncia il contrasto con gli
artt. 117, 118 e 120 della Costituzione.
Va innanzitutto premesso che le
infrastrutture di competenza dei soggetti aggiudicatori regionali
sono quelle in relazione alle quali, nelle intese previste dal
comma 1 dell'art.1 del decreto legislativo n. 190, si è
riconosciuto che l'interesse regionale concorre con un interesse
statale preminente ed è proprio questo riconoscimento a
giustificare l'esercizio della funzione amministrativa da parte
dello Stato. Ad evitare che le esigenze unitarie sottostanti alla
realizzazione di tali opere possano restare insoddisfatte a causa
dell'inerzia del soggetto aggiudicatore regionale, allo Stato
sono conferiti poteri sollecitatori che peraltro devono essere
esercitati seguendo un percorso procedimentale che non priva
Regioni e Province autonome delle garanzie connesse alla
titolarità di un interesse concorrente con quello statale. E'
infatti previsto che i commissari straordinari agiscano con le
modalità e i poteri di cui al citato art. 13 del decreto-legge
n. 67 del 1997, e il comma 4 di tale articolo, che deve essere
ritenuto applicabile alla fattispecie, attribuisce al Presidente
della Regione (e, in questo caso, per opere ricadenti nell'ambito
della Provincia autonoma, al Presidente della Provincia) il
potere di sospendere i provvedimenti adottati dal commissario
straordinario e anche di provvedere diversamente, entro 15 giorni
dalla loro comunicazione.
In questi termini, la censura è da
respingere.
Non può essere condivisa neppure la
prospettazione della Regione Toscana, secondo la quale alle
ipotesi di inerzia regionale dovrebbe ovviarsi ai sensi dell'art.
120 Cost., per la cui applicazione mancherebbero, nella specie, i
presupposti. Occorre qui tenere ben distinte le funzioni
amministrative che lo Stato, per ragioni di sussidiarietà e
adeguatezza, può assumere e al tempo stesso organizzare e
regolare con legge, dalle funzioni che spettano alle Regioni e
per le quali lo Stato, non ricorrendo i presupposti per la loro
assunzione in sussidiarietà, eserciti poteri in via sostitutiva.
Nel primo caso, quando si applichi il principio di sussidiarietà
di cui all'art. 118 Cost., quelle stesse esigenze unitarie che
giustificano l'attrazione della funzione amministrativa per
sussidiarietà consentono di conservare in capo allo Stato poteri
acceleratori da esercitare nei confronti degli organi della
Regione che restino inerti. In breve, la già avvenuta assunzione
di una funzione amministrativa in via sussidiaria legittima
l'intervento sollecitatorio diretto a vincere l'inerzia
regionale. Nella fattispecie di cui all'art. 120 Cost., invece,
l'inerzia della Regione è il presupposto che legittima la
sostituzione statale nell'esercizio di una competenza che è e
resta propria dell'ente sostituito.
22. -Le Regioni ricorrenti censurano nella
sua interezza l'art. 3, che disciplina la procedura di
approvazione del progetto preliminare delle infrastrutture, le
procedure di valutazione di impatto ambientale (VIA) e
localizzazione, denunciandone il contrasto con l'art. 117 Cost.,
giacché detterebbe una disciplina di minuto dettaglio in
relazione ad oggetti ricadenti nella competenza regionale in
materia di governo del territorio.
La censura è inammissibile, in quanto
formulata in termini generici, senza specificare quali parti
della disposizione censurata eccederebbero la potestà regolativa
che pure non si disconosce allo Stato in materia.
23. -L'art. 3, comma 5, il quale affida al
CIPE l'approvazione del progetto preliminare delle infrastrutture
coinvolgendo le Regioni interessate ai fini dell'intesa sulla
localizzazione dell'opera, ma prevedendo che il medesimo progetto
non sia sottoposto a conferenza di servizi, secondo la Regione
Toscana sarebbe in contrasto con l'art. 76 Cost., poiché non
sarebbe conforme all'art. 1, comma 2, lettera d), della legge n.
443 del 2001, il quale autorizzava solo a modificare la
disciplina della conferenza dei servizi e non a sopprimerla.
La censura non è fondata.
Il Governo, ai sensi dell'art. 1, comma 2,
lettera d), era delegato a riformare le procedure per la
valutazione di impatto ambientale e l'autorizzazione integrata
ambientale, nell'osservanza di un principio-criterio direttivo
molto circostanziato e così formulato: modificazione della
disciplina in materia di conferenza di servizi con la previsione
della facoltà, da parte di tutte le amministrazioni competenti a
rilasciare permessi e autorizzazioni comunque denominati, di
proporre, in detta conferenza, nel termine perentorio di novanta
giorni, prescrizioni e varianti migliorative che non modificano
la localizzazione e le caratteristiche essenziali delle opere.
Tale criterio, diversamente da quanto assume la ricorrente, era
dettato con riferimento all'approvazione del progetto definitivo,
non già di quello preliminare. Attuativo della lettera d),
dunque, non è l'art. 3, comma 5, bensì l'art. 4, comma 3, del
decreto legislativo n. 190, relativo all'approvazione del
progetto definitivo, che in effetti prevede la conferenza di
servizi e risulta pertanto, sotto il profilo denunciato, conforme
alla delega.
24. -Le Regioni ricorrenti denunciano i
commi 6 e 9 dell'art. 3, i quali, nel prevedere che lo Stato
possa procedere comunque all'approvazione del progetto
preliminare relativo alle infrastrutture di carattere
interregionale e internazionale superando il motivato dissenso
delle Regioni, violerebbero gli artt. 114, commi primo e secondo;
117, commi terzo, quarto e sesto, e 118, commi primo e secondo,
Cost. Le Regioni, si osserva nei ricorsi, sarebbero relegate in
posizione di destinatarie passive di provvedimenti assunti a
livello statale in materie che sono riconducibili alla potestà
legislativa concorrente.
La questione non merita accoglimento.
Le procedure di superamento del dissenso
regionale sono diversificate.
In una prima ipotesi [art. 3, comma 6,
lettera a)] il dissenso può essere manifestato sul progetto
preliminare di un'opera che, in virtù di un'intesa fra lo Stato
e la Regione o Provincia autonoma, è stata qualificata di
carattere interregionale o internazionale. In questo caso il
progetto preliminare è sottoposto al consiglio superiore dei
lavori pubblici, alla cui attività istruttoria partecipano i
rappresentanti delle Regioni. A tale fine il consiglio valuta i
motivi del dissenso e la eventuale proposta alternativa che, nel
rispetto della funzionalità dell'opera, la Regione o Provincia
autonoma dissenziente avessero formulato all'atto del dissenso.
Il parere del consiglio superiore dei lavori pubblici è rimesso
al CIPE che, in forza dell'art. 1, comma 2, del decreto
legislativo n. 190, applicabile nella specie, è integrato dai
Presidenti delle Regioni e Province autonome interessate. Se il
dissenso regionale perdura anche in sede CIPE, il progetto è
approvato con decreto del Presidente della Repubblica, previa
deliberazione del Consiglio dei ministri, sentita la Commissione
parlamentare per le questioni regionali. Va in primo luogo
rilevato che non si tratta qui di approvazione del progetto
definitivo, ma solo di quello preliminare, e che le opere
coinvolte non sono qualificate di carattere regionale. Risponde
quindi allo statuto del principio di sussidiarietà e all'istanza
unitaria che lo sorregge, che possano essere definite procedure
di superamento del dissenso regionale, le quali dovranno comunque
come avviene nella specie informarsi al principio
di leale collaborazione, onde offrire alle Regioni la
possibilità di rappresentare il loro punto di vista e di
motivare la loro valutazione negativa sul progetto. Nessuna
censura, in definitiva, può essere rivolta alla disciplina
legislativa, salva la possibilità per la Regione dissenziente di
impugnare la determinazione finale resa con decreto del
Presidente della Repubblica ove essa leda il principio di leale
collaborazione, sul quale deve essere modellato l'intero
procedimento.
Nella seconda ipotesi [art. 3, comma 6,
lettera b)] il dissenso si manifesta sul progetto preliminare
relativo a infrastrutture strategiche classificate nell'intesa
fra Stato e Regione come di preminente interesse nazionale o ad
opere nelle quali il preminente interesse statale concorre con
quello regionale. Il procedimento di superamento del dissenso
delle Regioni è diversamente articolato: si provvede in questi
casi a mezzo di un collegio tecnico costituito d'intesa fra il
Ministero e la Regione interessata a una nuova valutazione del
progetto preliminare. Ove permanga il dissenso, il Ministro delle
infrastrutture e trasporti propone al CIPE, sempre d'intesa con
la Regione, la sospensione dell'infrastruttura, in attesa di una
nuova valutazione in sede di aggiornamento del programma oppure
«l'avvio della procedura prevista in caso di dissenso sulle
infrastrutture o insediamenti produttivi di carattere
interregionale o internazionale». Il tenore letterale della
disposizione porta a concludere che la necessità dell'intesa con
la Regione si riferisca non solo alla proposta di sospensione del
procedimento, ma anche alla proposta di avvio della procedura di
cui alla lettera a) dell'articolo in esame. Si consentirebbe
insomma alla Regione, nel caso di opere di interesse regionale
concorrente con quello statale, di "bloccare"
l'approvazione del progetto ad esse relativo, in attesa di una
nuova valutazione in sede di aggiornamento del programma.
In questi termini, il motivo di ricorso in
esame deve essere rigettato.
24.1. -Per le ragioni appena esposte anche
le censure relative agli artt. 4, comma 5, e 13, comma 5, che
alla procedura dell'art. 3, comma 6, fanno espresso rinvio,
devono essere respinte, così come deve essere rigettata la
censura rivolta dalle Regioni Toscana e Marche nei confronti
dell'art. 13, che disciplina le procedure per la localizzazione,
l'approvazione dei progetti, la VIA degli insediamenti produttivi
e delle infrastrutture private strategiche per
l'approvvigionamento energetico, richiamando le procedure
previste negli artt. 3 e 4 del decreto.
25. -Devono essere dichiarate inammissibili
le censure che le Regioni Toscana e Marche svolgono nei confronti
degli artt. 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10 e 11, che, in relazione alle
infrastrutture e agli insediamenti produttivi qualificati come
strategici, contengono un complesso insieme di innovazioni in
materia di appalti e di concessioni di lavori pubblici. Se ne
denuncia il contrasto con l'art. 117 Cost.
Ancor prima di esaminare nel merito la
censura, che procede peraltro dalla erronea premessa che i lavori
pubblici costituiscano una materia di esclusiva competenza
regionale, si deve rilevare che essa è formulata in termini
così generici da non consentire un corretto scrutinio di
legittimità costituzionale sulle singole disposizioni. Nella
congerie di norme contenute negli articoli impugnati, fatte
simultaneamente e indistintamente oggetto di censura, discernere
o selezionare i profili di competenza statale potenzialmente
interferenti con la disciplina regionale non è onere che possa
essere addossato alla Corte, ma attiene al dovere di allegazione
del ricorrente. Vero in ipotesi che sussistano profili di
disciplina inerenti a competenze residuali, è infatti
indubitabile la potenziale interferenza con esse di funzioni e
compiti statali riconducibili alla potestà legislativa esclusiva
o concorrente, quali la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema,
la tutela della concorrenza, il governo del territorio.
26. -L'art. 4, comma 5, è impugnato dalla
Regione Toscana per la parte in cui prevede che l'approvazione
del progetto definitivo, adottata con il voto favorevole della
maggioranza dei componenti il CIPE, «sostituisce ogni altra
autorizzazione, approvazione e parere comunque denominato e
consente la realizzazione e, per gli insediamenti produttivi
strategici, l'esercizio di tutte le opere, prestazioni e
attività previste nel progetto approvato». La ricorrente
lamenta la violazione dell'art. 76 della Costituzione, per il
contrasto con l'art. 1, comma 3-bis, della legge di delega n. 443
del 2001, come modificata dalla legge n. 166 del 2002, il quale
porrebbe quale momento indefettibile del procedimento di
approvazione del progetto definitivo il parere obbligatorio della
Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo n.
281 del 1997.
La censura è infondata.
A prescindere dal rilievo che l'art. 1,
comma 3-bis, della legge n. 443 del 2001, introdotto dalla legge
n. 166 del 2002, non figura espressamente tra i criteri e
principi direttivi per l'esercizio della delega, e che è stato
dichiarato costituzionalmente illegittimo con la presente
pronuncia (v. § 8), deve osservarsi che l'art. 4, comma 5,
costituisce attuazione del criterio di cui all'art. 1, comma 2,
lettera c), della citata legge n. 443 del 2001, come modificato
dall'art. 13, comma 6, della legge n. 166 del 2002, del quale si
è in precedenza escluso il dedotto profilo di lesione delle
competenze regionali (punto 6.2.). Il suindicato criterio
prevedeva infatti che venisse affidata al CIPE, integrato dai
Presidenti delle Regioni o Province autonome interessate,
l'approvazione del progetto preliminare e di quello definitivo. E
che l'operatività della disposizione impugnata presupponga che
l'approvazione del progetto definitivo sia effettuata dal CIPE in
composizione allargata si ricava dall'art. 1, comma 2, dello
stesso decreto legislativo n. 190, il quale chiarisce che
«l'approvazione dei progetti delle infrastrutture» (quindi del
progetto preliminare come di quello definitivo) «avviene
d'intesa tra lo Stato e le Regioni nell'ambito del CIPE allargato
ai presidenti delle regioni e delle province autonome
interessate».
27. -La Regione Toscana ha impugnato l'art.
8, nella parte in cui prevede che il Ministero delle
infrastrutture e trasporti pubblichi sul proprio sito informatico
e, una volta istituito, sul sito informatico individuato dal
Presidente del Consiglio dei ministri ai sensi dell'art. 24 della
legge 24 novembre 2000, n. 340, nonché nelle Gazzette Ufficiali
italiana e comunitaria, la lista delle infrastrutture per le
quali il soggetto aggiudicatore ritiene di sollecitare la
presentazione di proposte da parte di promotori, precisando, per
ciascuna infrastruttura, il termine (non inferiore a 4 mesi)
entro il quale i promotori possono presentare le proposte e, se
la proposta è presentata, stabilisce che il soggetto
aggiudicatore, valutata la stessa come di pubblico interesse,
promuova la procedura di VIA e se necessario la procedura di
localizzazione urbanistica.
La ricorrente lo censura per eccesso di
delega, in quanto esso non chiarirebbe se le infrastrutture
inserite nella lista per sollecitare le proposte dei promotori
siano da individuare tra quelle già ricomprese nel programma di
opere strategiche formato d'intesa con le Regioni ai sensi
dell'art. 1, comma 1, della legge di delega n. 443 del 2001 o se
al contrario si debba consentire la presentazione di proposte dei
promotori anche per opere non facenti parte del programma, e
sulle quali nessuna intesa è stata raggiunta con le Regioni
interessate.
L'interpretazione più piana e lineare della
disposizione censurata è che debba trattarsi delle opere
inserite nel programma di cui al comma 1, e sulle quali si sia
raggiunta l'intesa. Non è quindi fondata la censura di
violazione dell'art. 76 Cost. e neppure sussiste la violazione
dell'art. 117, poiché il principio di sussidiarietà, come si è
visto nel paragrafo 2.1, postula che allo Stato, una volta
assunta la funzione amministrativa, competa anche di regolarla
onde renderne l'esercizio raffrontabile a un parametro legale
unitario.
28. -Le Regioni Toscana, Marche e la
Provincia autonoma di Bolzano, propongono questione di
legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 117, sesto
comma, Cost., anche dell'art. 15 del decreto legislativo n. 190.
La questione è fondata.
Il comma 1 di tale articolo attribuisce al
Governo la potestà di integrare tutti i regolamenti emanati in
base alla legge n. 109 del 1994, «assumendo come norme
regolatrici il presente decreto legislativo, la legge di delega e
le normative comunitarie in materia di appalti di lavori» e
stabilisce che le norme regolamentari si applichino alle Regioni
solo «limitatamente alle procedure di intesa per l'approvazione
dei progetti e di aggiudicazione delle infrastrutture» e, per
quanto non pertinente a queste procedure, si applichino a titolo
suppletivo, «sino alla entrata in vigore di diversa normativa
regionale». Il comma 2 del predetto articolo autorizza i
regolamenti emanati nell'esercizio della potestà di cui al comma
1 ad abrogare o derogare, dalla loro entrata in vigore, le norme
di diverso contenuto precedentemente vigenti nella materia; il
comma 3 puntualizza gli oggetti del regolamento autorizzato; il
comma 4 stabilisce che, fino alla entrata in vigore dei
regolamenti integrativi di cui al comma 1, si applica il d.P.R.
n. 554 del 1999 in materia di lavori pubblici adottato dallo
Stato ai sensi dell'art. 3 della legge n. 109 del 1994, in quanto
compatibile con le norme della legge di delega e del decreto
legislativo n. 190; e prosegue disponendo che i requisiti di
qualificazione sono individuati e regolati dal bando e dagli atti
di gara, nel rispetto delle previsioni del decreto legislativo n.
158 del 1995.
Dalle argomentazioni che sostengono il
motivo di ricorso si evince che esso investe i primi quattro
commi dell'art. 15, che riguardano appunto i regolamenti
governativi autorizzati; ne è escluso invece il comma 5, che ha
un oggetto diverso ed affatto autonomo, poiché concerne
l'attività di monitoraggio tesa a prevenire e reprimere
tentativi di infiltrazione mafiosa. Così accertata la portata
delle censure, esse devono essere accolte, per le ragioni che
sono state già esposte nel precedente paragrafo 7, dove si sono
illustrati i motivi della pronuncia di accoglimento della
questione riguardante l'art. 1, comma 3, della legge n. 443 del
2001, di cui l'impugnato art. 15 è attuativo.
29. -Con un'unica, laconica censura la
Regione Toscana impugna, con richiamo agli stessi motivi già
svolti, l'art. 16, il quale contiene una pluralità di norme
transitorie, diverse a seconda dello stadio di realizzazione
dell'opera al momento di entrata in vigore del decreto
legislativo n. 190. La regolamentazione è infatti differenziata
a seconda che sia stato approvato il progetto definitivo o
esecutivo (comma 1); abbia avuto luogo la valutazione di impatto
ambientale sulla base di norme vigenti statali o regionali (comma
2); non si sia svolta alcuna attività e si versi in fase di
prima applicazione della disciplina (comma 3); o ancora si tratti
di procedimenti relativi agli insediamenti produttivi e alle
infrastrutture strategiche per l'approvvigionamento energetico in
corso (comma 7, che regola anche il regime degli atti già
compiuti). Ciascuna di queste ipotesi è assoggettata a una
disciplina particolare e pertanto non è possibile indirizzare
nei loro confronti una censura unitaria fondata su un solo
motivo, per di più argomentato per relationem con riferimento ai
"motivi sopra esposti", alcuni dei quali, a loro volta,
vengono dichiarati inammissibili per genericità con la presente
pronuncia.
La censura è pertanto inammissibile per la
sua genericità.
30. -Le Regioni Marche e Toscana denunciano,
in riferimento all'art. 117 Cost., gli artt. 17, 18, 19 e 20
nella parte in cui dettano una disciplina della procedura di
valutazione di impatto ambientale di opere e infrastrutture che
derogherebbe a quella regionale, cui dovrebbe riconoscersi la
competenza a regolare gli strumenti attuativi della tutela
dell'ambiente.
La censura non merita accoglimento.
Le ricorrenti muovono dalla premessa che la
valutazione di impatto ambientale regolata dalle disposizioni
censurate trovi applicazione anche nei confronti delle opere di
esclusivo interesse regionale, ma così non è, poiché la sfera
di applicazione del decreto legislativo n. 190 è limitata alle
opere che, con intesa fra lo Stato e la Regione, vengono
qualificate come di preminente interesse nazionale, con il quale
concorre un interesse regionale.
Per le infrastrutture ed insediamenti
produttivi di preminente interesse nazionale, invece, non vi è
ragione di negare allo Stato l'esercizio della sua competenza,
tanto più che la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema forma
oggetto di una potestà esclusiva, ai sensi dell'art. 117,
secondo comma, lettera s), che è bensì interferente con una
molteplicità di attribuzioni regionali, come questa Corte ha
riconosciuto nelle sentenze n. 536 e n. 407 del 2002, ma che non
può essere ristretta al punto di conferire alle Regioni,
anziché allo Stato, ogni determinazione al riguardo.
Quando sia riconosciuto in sede di intesa un
concorrente interesse regionale, la Regione può esprimere il suo
punto di vista e compiere una sua previa valutazione di impatto
ambientale, ai sensi dell'art. 17, comma 4, ma il provvedimento
di compatibilità ambientale è adottato dal CIPE, il quale,
secondo una retta interpretazione, conforme ai criteri della
delega [art. 1, comma 2, lettera c), della legge n. 443 del 2001,
come sostituito dalla legge n. 166 del 2002], deve essere
integrato dai Presidenti delle Regioni e delle Province autonome
interessate. L'insieme di queste previsioni appresta garanzie
adeguate a tutelare le interferenti competenze regionali.
31. -Oggetto di censura è pure l'art. 19,
comma 2, il quale demanda la valutazione di impatto ambientale a
una Commissione speciale istituita con decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente.
Le Regioni Toscana e Marche lamentano una lesione degli artt. 9,
32, 117 e 118 Cost. per la mancata previsione di una
partecipazione regionale in tale Commissione.
Premesso che la disposizione deve essere
interpretata nel senso che la Commissione speciale opera con
riferimento alle sole opere qualificate in sede di intesa come di
interesse nazionale, interregionale o internazionale, essa è
invece illegittima nella parte in cui, per le infrastrutture e
gli insediamenti produttivi strategici per i quali sia stato
riconosciuto, in sede di intesa, un concorrente interesse
regionale, non prevede che la Commissione speciale VIA sia
integrata da componenti designati dalle Regioni o Province
autonome interessate.
32. -Le Regioni Campania, Toscana, Marche,
Basilicata, Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia hanno proposto
questione di legittimità costituzionale in via principale, in
riferimento agli artt. 3, 9, 32, 41, 42, 44, 70, 76, 77, 97, 114,
117, 118 e 119 Cost., nonché all'art. 174 del trattato
istitutivo della Comunità europea, dell'intero decreto
legislativo 4 settembre 2002, n. 198, recante "Disposizioni
volte ad accelerare la realizzazione delle infrastrutture di
telecomunicazioni strategiche per la modernizzazione e lo
sviluppo del Paese, a norma dell'art. 1, comma 2, della legge 21
dicembre 2001, n. 443", e in particolare degli artt. 1, 3,
4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11 e 12.
33. -Avverso il medesimo decreto legislativo
ha proposto ricorso, «per sollevare questione di legittimità
costituzionale e conflitto di attribuzione», anche il Comune di
Vercelli. Il ricorrente ritiene che la propria legittimazione ad
impugnare discenda dal fatto che la revisione del Titolo V della
Parte II della Costituzione ha attribuito direttamente ai Comuni
potestà amministrative e normative che dovrebbero poter essere
difese nel giudizio di legittimità costituzionale in via di
azione e nel giudizio per conflitto di attribuzione.
A prescindere dalla qualificazione dell'atto
e dal problema se con esso il Comune abbia sollevato una
questione di legittimità costituzionale o abbia introdotto un
conflitto di attribuzione, il ricorso deve essere dichiarato
inammissibile.
L'art. 127 Cost. prevede che «La Regione,
quando ritenga che una legge o un atto avente valore di legge
dello Stato o di un'altra Regione leda la sua sfera di
competenza, può promuovere la questione di legittimità
costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta
giorni dalla pubblicazione della legge o dell'atto avente valore
di legge». Con formulazione dal tenore inequivoco, la
titolarità del potere di impugnazione di leggi statali è dunque
affidata in via esclusiva alla Regione, né è sufficiente
l'argomento sistematico invocato dal ricorrente per estendere
tale potere in via interpretativa ai diversi enti territoriali.
Analogo discorso deve ripetersi per il
potere di proporre ricorso per conflitto di attribuzione. Nessun
elemento letterale o sistematico consente infatti di superare la
limitazione soggettiva che si ricava dagli art. 134 della
Costituzione e 39, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87
e, comunque, sotto il profilo oggettivo, resta ferma, anche dopo
la revisione costituzionale del 2001, la diversità fra i giudizi
in via di azione sulle leggi e i conflitti di attribuzione fra
Stato e Regioni, i quali ultimi non possono riguardare atti
legislativi.
34. -Gli interventi spiegati dalle società
H3G s.p.a., T.I.M. s.p.a. Telecom Italia Mobile, Vodafone
Omnitel N.V. (già Vodafone Omnitel s.p.a.), Wind
Telecomunicazioni s.p.a. e quelli proposti, peraltro
tardivamente, dai Comuni di Pontecurone, Monte Porzio Catone,
Roma, Polignano a Mare, Mantova e del Coordinamento delle
associazioni consumatori (CODACONS), devono essere dichiarati
inammissibili, per le stesse ragioni esposte nel paragrafo 3.2
della presente sentenza.
35. -L'intero decreto legislativo n. 198 del
2002 è impugnato in tutti i ricorsi per eccesso di delega, sul
rilievo che la legge n. 443 del 2002, nell'art. 1, comma 1,
autorizzava l'adozione di una normativa specifica per le sole
infrastrutture puntualmente individuate anno per anno, a mezzo di
un programma approvato dal CIPE, mentre nel caso di specie non vi
sarebbe stata tale individuazione, ma esclusivamente una
«sintesi del piano degli interventi nel comparto delle
comunicazioni». Inoltre, si aggiunge nei ricorsi delle Regioni
Emilia-Romagna e Umbria, la delega sarebbe stata conferita per la
realizzazione di "grandi opere", mentre tralicci, pali,
antenne, impianti radiotrasmittenti, ripetitori, che il decreto
legislativo n. 198 disciplina, costituirebbero solo una
molteplicità di piccole opere; infine - si lamenta nei ricorsi
delle Regioni Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia - lungi
dall'uniformarsi ai principî e criteri direttivi della delega,
il decreto impugnato, nell'art. 1, porrebbe a sé medesimo i
principî che informano le disposizioni successive.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte,
nel giudizio promosso in via principale il vizio di eccesso di
delega può essere addotto solo quando la violazione denunciata
sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle
attribuzioni costituzionali delle Regioni o Province autonome
ricorrenti (sentenze n. 353 del 2001, n. 503 del 2000, n. 408 del
1998, n. 87 del 1996). Nella specie non può negarsi che la
disciplina delle infrastrutture di telecomunicazioni strategiche,
che si assume in contrasto con la legge di delega n. 443 del
2001, comprima le attribuzioni regionali sotto più profili. Il
più evidente tra essi emerge dalla lettura dell'art. 3, comma 2,
secondo il quale tali infrastrutture sono compatibili con
qualsiasi destinazione urbanistica e sono realizzabili in ogni
parte del territorio comunale anche in deroga agli strumenti
urbanistici e ad ogni altra disposizione di legge o di
regolamento. In questi casi la Regione è legittimata a far
valere le proprie attribuzioni anche allegando il vizio formale
di eccesso di delega del decreto legislativo nel quale tale
disciplina è contenuta.
Nella specie l'eccesso di delega è
evidente, a nulla rilevando, in questo giudizio, la sopravvenuta
entrata in vigore del decreto legislativo 1° agosto 2003, n.
259, recante il Codice delle comunicazioni elettroniche, che
riguarda in parte la stessa materia.
L'art. 1, comma 2, della legge n. 443 del
2001, che figura nel titolo del decreto legislativo impugnato ed
è richiamata nel preambolo, ha conferito al Governo il potere di
individuare infrastrutture pubbliche e private e insediamenti
produttivi strategici di interesse nazionale a mezzo di un
programma formulato su proposta dei Ministri competenti, sentite
le Regioni interessate ovvero su proposta delle Regioni sentiti i
Ministri competenti. I criteri della delega, contenuti nell'art.
2, confermano che i decreti legislativi dovevano essere intesi a
definire un quadro normativo finalizzato alla celere
realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti
individuati a mezzo di un programma.
Di tale programma non vi è alcuna menzione
nel decreto impugnato, il quale al contrario prevede che i
soggetti interessati alla installazione delle infrastrutture sono
abilitati ad agire in assenza di un atto che identifichi
previamente, con il concorso regionale, le opere da realizzare e
sulla scorta di un mero piano di investimenti delle diverse
società concessionarie. Ogni considerazione sulla rilevanza
degli interessi sottesi alla disciplina impugnata non può avere
ingresso in questa sede, posto che tale disciplina non
corrisponde alla delega conferita al Governo e non può essere
considerata di questa attuativa.
L'illegittimità dell'intero atto esime
questa Corte dal soffermarsi sulle singole disposizioni oggetto
di ulteriori censure, che restano pertanto assorbite.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara la illegittimità costituzionale
dell'articolo 1, comma 3, ultimo periodo, della legge 21 dicembre
2001, n. 443 (Delega al Governo in materia di infrastrutture ed
insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il
rilancio delle attività produttive);
2) dichiara la illegittimità costituzionale
dell'articolo 1, comma 3-bis, della medesima legge, introdotto
dall'articolo 13, comma 6, della legge 1° agosto 2002, n. 166
(Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti);
3) dichiara inammissibili le questioni di
legittimità costituzionale dell'articolo 1, commi 1, 2, 3 e 4,
della legge 21 dicembre 2001, n. 443, sollevate, in riferimento
all'articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3,
e agli articoli 117 e 118 della Costituzione, dalla Provincia
autonoma di Trento, con il ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara non fondate, nei sensi di cui in
motivazione, le questioni di legittimità costituzionale
dell'articolo 1, comma 1, della legge 21 dicembre 2001, n. 443,
sollevate, in riferimento agli articoli 117, 118 e 119 della
Costituzione dalla Regione Marche e, in riferimento all'articolo
117 della Costituzione, dalle Regioni Toscana, Umbria ed
Emilia-Romagna, con i ricorsi indicati in epigrafe;
5) dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 1, della legge
21 dicembre 2001, n. 443, come sostituito dall'articolo 13, comma
3, della legge 1° agosto 2002, n. 166, sollevata, in riferimento
agli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione
Toscana, con il ricorso indicato in epigrafe;
6) dichiara inammissibili le questioni di
legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 2, lettere a),
b), c), d), e), f), g), h), i), l), m), n) e o), della legge 21
dicembre 2001, n. 443, sollevate, in riferimento agli articoli
117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Marche e, in
riferimento all'articolo 117 della Costituzione, dalle Regioni
Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna, con i ricorsi indicati in
epigrafe;
7) dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 2, lettera g),
della legge 21 dicembre 2001, n. 443, sollevata, in riferimento
all'articolo 117, primo comma, della Costituzione, dalle Regioni
Umbria ed Emilia-Romagna, con i ricorsi indicati in epigrafe;
8) dichiara inammissibile la questione di
legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 2, lettera n),
della legge 21 dicembre 2001, n. 443, sollevata, in riferimento
all'articolo 117, primo comma, della Costituzione, dalle Regioni
Umbria ed Emilia-Romagna, con i ricorsi indicati in epigrafe;
9) dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 2, lettera c),
della legge 21 dicembre 2001, n. 443, come sostituito
dall'articolo 13, comma 5, della legge 1° agosto 2002, n. 166,
sollevata, in riferimento agli articoli 117 e 118 della
Costituzione, dalla Regione Toscana, con il ricorso indicato in
epigrafe;
10) dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 4, della legge
21 dicembre 2001, n. 443, sollevate, in riferimento agli articoli
117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Marche e, in
riferimento all'articolo 117 della Costituzione, dalle Regioni
Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna, con i ricorsi indicati in
epigrafe;
11) dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 5, della legge
21 dicembre 2001, n. 443, sollevata, in riferimento agli articoli
117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Marche, con il
ricorso indicato in epigrafe;
12) dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell'articolo 1, commi 6, 7, 8, 9,
10, 11, 12 e 14, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, sollevate,
in riferimento all'articolo 117 della Costituzione, dalle Regioni
Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna, con i ricorsi indicati in
epigrafe;
13) dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 1-bis, della
legge 21 dicembre 2001, n. 443, introdotto dall'articolo 13,
comma 4, della legge 1° agosto 2002, n. 166, sollevata, in
riferimento agli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione,
dalla Regione Toscana, con il ricorso indicato in epigrafe;
14) dichiara non fondata, nei sensi di cui
in motivazione, la questione di legittimità costituzionale
dell'articolo 13, commi 1 e 11, della legge 1° agosto 2002, n.
166, sollevata, in riferimento agli articoli 117, 118 e 119 della
Costituzione, dalla Regione Toscana, con il ricorso indicato in
epigrafe;
15) dichiara la illegittimità
costituzionale dell'articolo 15, commi 1, 2, 3 e 4, del decreto
legislativo 20 agosto 2002, n. 190 (Attuazione della legge 21
dicembre 2001, n. 443, per la realizzazione delle infrastrutture
e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse
nazionale);
16) dichiara la illegittimità
costituzionale dell'articolo 19, comma 2, del decreto legislativo
20 agosto 2002, n. 190, nella parte in cui, per le infrastrutture
e gli insediamenti produttivi strategici, per i quali sia stato
riconosciuto, in sede di intesa, un concorrente interesse
regionale, non prevede che la commissione speciale per la
valutazione di impatto ambientale (VIA) sia integrata da
componenti designati dalle Regioni o Province autonome
interessate;
17) dichiara inammissibili le questioni di
legittimità costituzionale degli articoli 1, 2, 3, 4, 13 e 15
del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevate, in
riferimento agli articoli 76, 117, 118 e 120 della Costituzione e
agli articoli 8, primo comma, numeri 5, 6, 9 , 11, 14, 16, 17,
18, 19, 21, 22, e 24; 9, primo comma, numeri 8, 9 e 10; e 16 del
d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, agli articoli 19, 20 e 21 del
d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381 e all'articolo 4 del decreto
legislativo 16 marzo 1992, n. 266, dalla Provincia autonoma di
Trento, con il ricorso indicato in epigrafe;
18) dichiara non fondata, nei sensi di cui
in motivazione, la questione di legittimità costituzionale
dell'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 20 agosto 2002,
n. 190, sollevata, in riferimento agli articoli 117 e 118 della
Costituzione, all'articolo 10 della legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3, e all'articolo 2 del decreto legislativo 16
marzo 1992, n. 266, dalla Provincia autonoma di Bolzano, con il
ricorso indicato in epigrafe;
19) dichiara non fondata, nei sensi di cui
in motivazione, la questione di legittimità costituzionale
dell'articolo 13, comma 5, del decreto legislativo 20 agosto
2002, n. 190, sollevata, in riferimento agli articoli 8, primo
comma, numeri 5, 6, 9 , 11, 14, 16, 17, 18, 19, 21, 22, e 24; 9,
primo comma, numeri 8, 9 e 10; e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n.
670, e all'articolo 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n.
266, dalla Provincia autonoma di Bolzano, con il ricorso indicato
in epigrafe;
20) dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 5, del decreto
legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevata, in riferimento
all'articolo 117 della Costituzione, dalle Regioni Marche e
Toscana, con i ricorsi indicati in epigrafe;
21) dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 7, lettera e),
del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevate, in
riferimento agli articoli 76, 117, commi terzo, quarto e sesto, e
118 della Costituzione, dalla Regione Toscana, in riferimento
agli articoli 117, commi terzo quarto e sesto, e 118 della
Costituzione, dalla Regione Marche, in riferimento agli articoli
8, primo comma, numeri 5, 6, 9, 11, 14, 16, 17, 18, 19, 21, 22, e
24; 9, primo comma, numeri 8, 9 e 10; e 16 del d.P.R. 31 agosto
1972, n. 670, e agli articoli 19 e 20 del d.P.R. 22 marzo 1974,
n. 381, dalla Provincia autonoma di Bolzano, con i ricorsi
indicati in epigrafe;
22) dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale degli articoli 2, commi 1, 2, 3, 4, 5
e 7; 3, commi 4, 5, 6, e 9; e 13, commi 5 e 15, del decreto
legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevate, in riferimento
agli articoli 117 e 118 della Costituzione, all'articolo 10 della
legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e agli articoli 8,
primo comma, numeri 5, 6, 9, 11, 14, 16, 17, 18, 19, 21, 22, e
24; 9, primo comma, numeri 8, 9 e 10; e 16 del d.P.R. 31 agosto
1972, n. 670, e all'articolo 4, comma 1, del decreto legislativo
16 marzo 1992, n. 266, dalla Provincia autonoma di Bolzano, con
il ricorso indicato in epigrafe;
23) dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale degli articoli 2, commi 2, 3, 4 e 5,
sollevate, in riferimento agli articoli 8, primo comma, numeri 5,
6, 9, 11, 14, 16, 17, 18, 19, 21, 22, e 24; 9, primo comma,
numeri 8, 9 e 10; e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, e
all'articolo 4, comma 3, del decreto legislativo 16 marzo 1992,
n. 266, dalla Provincia autonoma di Bolzano, con il ricorso
indicato in epigrafe;
24) dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 5, del decreto
legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevate, in riferimento
agli articoli 117 e 118 della Costituzione, dalle Regioni Toscana
e Marche, con i ricorsi indicati in epigrafe;
25) dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 7, del decreto
legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevate, in riferimento
agli articoli 117, 118 e 120 della Costituzione, dalla Regione
Toscana, e, in riferimento agli articoli 117 e 118 della
Costituzione, dalla Regione Marche, con i ricorsi indicati in
epigrafe;
26) dichiara inammissibili le questioni di
legittimità costituzionale dell'articolo 3 del decreto
legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevate, in riferimento
agli articoli 117 della Costituzione, dalle Regioni Toscana e
Marche, con i ricorsi indicati in epigrafe;
27) dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell'articolo 3, comma 5, del decreto
legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevata, in riferimento
all'articolo 76 della Costituzione, in relazione all'articolo 1,
comma 2, lettera d), della legge 21 dicembre 2001, n. 443, dalla
Regione Toscana, con il ricorso indicato in epigrafe;
28) dichiara non fondate, nei sensi di cui
in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale
dell'articolo 3, commi 6 e 9, del decreto legislativo 20 agosto
2002, n. 190, sollevate, in riferimento agli articoli 114, commi
primo e secondo, 117, commi terzo, quarto e sesto, e 118, commi
primo e secondo, della Costituzione, dalle Regioni Toscana e
Marche, con i ricorsi indicati in epigrafe;
29) dichiara non fondate, nei sensi di cui
in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale degli
articoli 4, comma 5, e 13 del decreto legislativo 20 agosto 2002,
n. 190, sollevate, in riferimento agli articoli 114, commi primo
e secondo, 117, commi terzo, quarto e sesto, e 118, commi primo e
secondo, della Costituzione, dalle Regioni Toscana e Marche, con
i ricorsi indicati in epigrafe;
30) dichiara inammissibili le questioni di
legittimità costituzionale degli articoli 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10 e
11 del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevate, in
riferimento all'articolo 117 della Costituzione, dalle Regioni
Toscana e Marche, con i ricorsi indicati in epigrafe;
31) dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell'articolo 4, comma 5, del decreto
legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevata, in riferimento
all'articolo 76 della Costituzione, dalla Regione Toscana, con il
ricorso indicato in epigrafe;
32) dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell'articolo 8 del decreto
legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevata, in riferimento
agli articoli 76 e 117 della Costituzione, dalla Regione Toscana,
con il ricorso indicato in epigrafe;
33) dichiara inammissibile la questione di
legittimità costituzionale dell'articolo 16 del decreto
legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevata, in riferimento
agli articoli 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione
Toscana, con il ricorso indicato in epigrafe;
34) dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale degli articoli 17, 18, 19, commi 1 e
3, e 20 del decreto legislativo 19 agosto 2002, n. 190,
sollevate, in riferimento all'articolo 117 della Costituzione,
dalle Regioni Toscana e Marche, con i ricorsi indicati in
epigrafe;
35) dichiara la illegittimità
costituzionale del decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198
(Disposizioni volte ad accelerare la realizzazione delle
infrastrutture di telecomunicazioni strategiche per la
modernizzazione e lo sviluppo del Paese, a norma dell'articolo 1,
comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443);
36) dichiara inammissibile il ricorso
proposto dal Comune di Vercelli "per sollevare questione di
legittimità costituzionale e conflitto di attribuzione"
avverso il decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 settembre 2003.
F.to:
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Carlo MEZZANOTTE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'1 ottobre 2003.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA